domenica 20 novembre 2016

Recensione - Una Storia Vera



David Lynch

Una Storia Vera (“A Straight Story”)

scritta tra le righe



Ogni tanto mia moglie porta a casa qualche dvd dalla biblioteca in cui lavora con la speranza di poterci guardare qualcosa assieme nella quiete della nostra sala/cucina. Di solito si tratta si schifezze intellettualoidi indipendenti che le sue colleghe responsabili dei nuovi acquisti comprano per elevare il prestigio della minuscola biblioteca di paese in cui passano le giornate. Una biblioteca i cui utenti abituali sono bambini in età prescolare e anziani in età premorte.
Per cui di solito l'arrivo di questi film sul tavolino di casa si risolve in un:
C'è un drago?”
No.”
Un mago? Un'astronave? Kung Fu?”
No.”
Allora non mi interessa.”
A volte però capita che in mezzo al mucchio degli acquisti che transitano da casa finisca una copertina interessante, o un titolo che mi incuriosisce. Così è stato per Una Storia Vera.
Ammetto che la mia monomania nerd per il fantastico mi limita molto sul piano della Cultura Cinematografica (d'altronde mica sono qua a millantare di essere Figo de Fighis), e spesso ignoro l'esistenza di lavori straordinari di grandi registi.
Avessero messo un'ascia bipenne nel logo della casa produttrice magari me ne sarei accorto prima.
Per fortuna me ne sono accorto ora, grazie a mia moglie. Diciassette anni di ritardo che non hanno scalfito di una virgola la poesia e l'attualità del film di Lynch.
Se dovessi descriverlo con una frase lo definirei come “la bellezza del non detto”.
E pensare che ho sempre odiato chi mi diceva di leggere tra le righe. Tra le righe non c'è scritto nulla! Niente, è tutto bianco! Se vuoi comunicare qualcosa dimmelo!
Ecco. Da questo punto di vista il titolo del film sarebbe potuto essere “Come smentire i preconcetti di un babaleo con l'Arte” (si noti la “A” maiuscola, prego).
Il film è un susseguirsi di silenzi, panorami e dialoghi ridotti all'osso. Dalla prima all'ultima scena. C'è un sacco di spazio tra le righe, talmente tanta laconicità che sembra un aiku.
Le musiche – meravigliose – di Angelo Badalamenti sono dosate col contagocce, e spesso si limitano a sei secondi di tappeto d'archi appena percettibile, eppure svolgono il loro compito alla perfezione. Quando il tema principale si dilunga i dialoghi scompaiono, lasciando il posto a straordinarie carrellate sui campi sconfinati degli Stati Uniti centrali e sui colori incredibili dei loro autunni.
Il non detto esiste e come, e la fa davvero da padrone: non lasciando allo spettatore il compito di avanzare le interpretazioni pretenziose tipiche dell'arte contemporanea (un water in mezzo a una stanza è un water in mezzo a una stanza e basta!), ma permettendogli di intuire quello che i personaggi non esprimono a voce. Niente dialoghi melensi, niente ovvietà. Quattro parole, e sappiamo tutto sulla persona che Lynch vuole farci conoscere.
Una ragazza al quinto mese di gravidanza che fa l'autostop in mezzo al nulla ci parla di incomunicabilità (la stessa che affligge il vecchio protagonista), della chiusura mentale della sua famiglia, e della sua stessa ignoranza riguardo alle cautele che dovrebbe tenere qualsiasi sua coetanea, ma che lì, a centinaia di miglia dalla città, nessuno le aveva probabilmente mai spiegato.
Ognuno dei personaggi ritratti da Lynch nell'improbabile viaggio di un vecchio contadino in sella a un tosaerba è una piccola finestra sull'America rurale, quella che si sente (ed è) lontana da tutto; dal benessere, dall'informazione, dalla cultura e dallo Stato prima di ogni cosa. Guardando il film si ha l'impressione che i luoghi attraversati dal vecchio Alvin siano sempre stati così come li vediamo, e che – per sfortuna di chi ci vive – lo resteranno per sempre. Le campagne del 1999 avrebbero potuto benissimo essere quelle di trent'anni prima. Guardando Una Storia Vera oggi, non è difficile comprendere il disagio di lunga data di chi ha spedito Trump alla Casa Bianca.
Lynch però ci fa anche ridere (probabilmente lo farà anche Trump. O perlomeno le gaffe sono la miglior cosa che ci possiamo aspettare dalla sua presidenza). Nella primissima parte del film mostra esattamente come dovrebbe essere la vita secondo me. La scena è del tipo:
Ah, stai morendo? Ok, allora al cinema ci vado da solo. Ciao.”


Ho anche scoperto che in alcune pose David Lynch
assomiglia in maniera inquietante a mio suocero.
 
E poi, una mezz'oretta dopo c'è un momento davvero epico. Non avrei mai pensato che un vecchio sciancato, un fucile e un tosaerba potessero essere gli ingredienti per la scena comica perfetta, e invece sì! Ma col cavolo che ve la spiego...
Insomma, Una Storia Vera mi è piaciuto tanto, mi ha fatto pensare (non è facile!) e mi ha anche commosso.
Se consideriamo che in tutto il film non c'è nemmeno un drago, è un risultato davvero notevole.

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