Terry
Brooks
I
Viaggi della Jerle Shannara - libro primo
La Strega di Ilse
(e i
pensieri dei grandi)
Lunga
e noiosa premessa: se volessimo analizzare in maniera seriosa il
genere
fantasy,
scopriremmo che, beh, c'è già chi ci ha pensato. I detrattori della
cosiddetta letteratura di genere (e di questo
genere in particolare) ne criticano la mancanza di profondità, la
vacua leggerezza che lo relegherebbe a trastullo da preadolescenti,
la ripetitività di trame e situazioni stereotipate. Eppure il
fantasy ha un suo motivo d'essere (per me ne ha tantissimi, ma è
chiaro che sono di parte), e risiede proprio nella rigida
codificazione di contesti e strutture.
La letteratura fantastica di matrice
celto-fairy-tolkenian-vichinga assolve meglio di qualunque altro
genere a quella che è nota, nei circoli elitari di chi “sa le
cose”, come Funzione Consolatoria, per cui, chi apre un fantasy –
che abbia tredici o cinquantatré anni non cambia nulla – sa
perfettamente cosa ci vuole trovare dentro, e non solo non rimarrà
deluso dal ripetersi ossessivo di schemi preconfezionati, ma anzi,
sarà tanto più soddisfatto quanto più il libro si avvicinerà agli
archetipi da cui prende le mosse.
L'appassionato di fantasy non vuole essere
sorpreso, ha solo un gran bisogno di essere coccolato.
Terry Brooks è come una balia che è in
grado di cullarci e allattarci fino all'età della pensione.
Trovatemi un umano che non desideri questo e mi rimangio tutto.
Col ciclo di Shannara il nostro caro
avvocato si prende amorevolmente cura dei suoi fan da decine di anni,
e ogni volta che un nuovo capitolo si aggiunge a questa fortunata
serie, il grande calderone del brodo di giuggiole in cui ci
crogioliamo viene copiosamente rabboccato.
Ne La Strega di Ilse troviamo la mappa
di una terra lontana e sconosciuta, estesa oltre lo Spartiacque
Azzurro, un druido tornato dal passato (Terry Brooks andrebbe
venerato anche solo per aver posto i druidi al centro del suo tutto),
si inneggia alla terra di Leah brandeggiando spade magiche, si
combattono mostri, si attraversano foreste e paludi, ci sono Paranor
e il Re del Fiume Argento.
Sì ok, c'è anche questa fastidiosa e
disorientante novità – ci spaventano sempre le novità – delle
navi volanti, ma tutto sommato se si è già seduti si riesce a
sopportarla, metabolizzarla, e in capo a una trentina di pagine,
perfino ad amarla. Per stavolta sei perdonato, caro Terry.
Ora, qualche maligno e spocchioso cultore della
Vera Letteratura potrebbe obiettare che nei centoventotto –
centotrenta libri della saga si potrebbero prendere la maggior parte
dei personaggi e scambiarne semplicemente i nomi (io stesso potrei
aver sollevato la questione in momenti di particolare sconforto), o
che il morboso arrotolarsi delle trame sulle stesse tre magie
(Spada-Pietre-Canzone) denota un'inventiva limitata alle infinite
elucubrazioni mentali dei personaggi, o ancora che nomi, patronimici
e toponimi (o era patrotopici e nominici?) sembrano buttati là senza
alcuna coerenza territoriale o linguistica, o che la trilogia dei
Viaggi della Jerle Shannara non è che la solita, proverbiale
minestra riscaldata servita sul ponte di una nave a vele solari
e tubi radianti.
A queste persone vale la pena di rispondere
solamente in un modo, anzi tre: sì, sì e ancora sì.
La
Strega di Ilse è
fortemente Terry
Brooks,
è esattamente uguale
a tutti gli altri libri della serie, e, porca miseria – e ve lo
ripeterò –, speriamo che questa cosa non cambi mai, altrimenti
dovrò tornare a dormire con l'orsacchiotto, o peggio, prendere in
mano un libro Vero.