martedì 15 novembre 2016

Recensione - La Strega di Ilse


Terry Brooks
I Viaggi della Jerle Shannara - libro primo

La Strega di Ilse

(e i pensieri dei grandi)



 
Lunga e noiosa premessa: se volessimo analizzare in maniera seriosa il genere fantasy, scopriremmo che, beh, c'è già chi ci ha pensato. I detrattori della cosiddetta letteratura di genere (e di questo genere in particolare) ne criticano la mancanza di profondità, la vacua leggerezza che lo relegherebbe a trastullo da preadolescenti, la ripetitività di trame e situazioni stereotipate. Eppure il fantasy ha un suo motivo d'essere (per me ne ha tantissimi, ma è chiaro che sono di parte), e risiede proprio nella rigida codificazione di contesti e strutture.

La letteratura fantastica di matrice celto-fairy-tolkenian-vichinga assolve meglio di qualunque altro genere a quella che è nota, nei circoli elitari di chi “sa le cose”, come Funzione Consolatoria, per cui, chi apre un fantasy – che abbia tredici o cinquantatré anni non cambia nulla – sa perfettamente cosa ci vuole trovare dentro, e non solo non rimarrà deluso dal ripetersi ossessivo di schemi preconfezionati, ma anzi, sarà tanto più soddisfatto quanto più il libro si avvicinerà agli archetipi da cui prende le mosse.

L'appassionato di fantasy non vuole essere sorpreso, ha solo un gran bisogno di essere coccolato.
Terry Brooks è come una balia che è in grado di cullarci e allattarci fino all'età della pensione. Trovatemi un umano che non desideri questo e mi rimangio tutto.
Col ciclo di Shannara il nostro caro avvocato si prende amorevolmente cura dei suoi fan da decine di anni, e ogni volta che un nuovo capitolo si aggiunge a questa fortunata serie, il grande calderone del brodo di giuggiole in cui ci crogioliamo viene copiosamente rabboccato.
La Strega di Ilse rappresenta purtroppo una svolta fondament Tranquilli, sto scherzando: nelle Quattro Terre niente cambia mai davvero (per fortuna)!

Ne La Strega di Ilse troviamo la mappa di una terra lontana e sconosciuta, estesa oltre lo Spartiacque Azzurro, un druido tornato dal passato (Terry Brooks andrebbe venerato anche solo per aver posto i druidi al centro del suo tutto), si inneggia alla terra di Leah brandeggiando spade magiche, si combattono mostri, si attraversano foreste e paludi, ci sono Paranor e il Re del Fiume Argento.
Sì ok, c'è anche questa fastidiosa e disorientante novità – ci spaventano sempre le novità – delle navi volanti, ma tutto sommato se si è già seduti si riesce a sopportarla, metabolizzarla, e in capo a una trentina di pagine, perfino ad amarla. Per stavolta sei perdonato, caro Terry.

Ora, qualche maligno e spocchioso cultore della Vera Letteratura potrebbe obiettare che nei centoventotto – centotrenta libri della saga si potrebbero prendere la maggior parte dei personaggi e scambiarne semplicemente i nomi (io stesso potrei aver sollevato la questione in momenti di particolare sconforto), o che il morboso arrotolarsi delle trame sulle stesse tre magie (Spada-Pietre-Canzone) denota un'inventiva limitata alle infinite elucubrazioni mentali dei personaggi, o ancora che nomi, patronimici e toponimi (o era patrotopici e nominici?) sembrano buttati là senza alcuna coerenza territoriale o linguistica, o che la trilogia dei Viaggi della Jerle Shannara non è che la solita, proverbiale minestra riscaldata servita sul ponte di una nave a vele solari e tubi radianti.
A queste persone vale la pena di rispondere solamente in un modo, anzi tre: sì, sì e ancora sì.

La Strega di Ilse è fortemente Terry Brooks, è esattamente uguale a tutti gli altri libri della serie, e, porca miseria – e ve lo ripeterò –, speriamo che questa cosa non cambi mai, altrimenti dovrò tornare a dormire con l'orsacchiotto, o peggio, prendere in mano un libro Vero.


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