Mad Max Fury Road
(Il Signore delle Saldature)
Turbovecchiette d'assalto
– che riescono a essere credibili! –, Charlize Theron come al
solito straordinaria, deliri visuali in ogni angolino dello schermo e
profluvio di idee.
Ogni macchina, ogni
accessorio, ovunque ammiccano piccole gemme d'inventiva.
Monster tracks
spaventosi, scocche di maggiolini montate dappertutto, numeri da
Cirque du Soleil tra camion in corsa solo per sentirsi gridare:
“Ammirami, ammirami!”
Ua! Che storia questo
Fury Road! Due ore che schizzano via veloci e potenti come una
blindocisterna da 2000cv.
Qualche giorno fa avevo
letto la recensione a fumetti di Leo Ortolani (Il buio in sala) che sottolineava come e
quanto i giovinastri rampanti di Hollywood avessero da imparare
dall'ultrasettantenne George Miller sugli action movie. E aveva
ragione!
Il film è leggero, certo, ma coerente e
solido, senza buchi di trama e fila dritto verso i titoli di coda
senza bisogno di scene post-credits per soddisfare i nerd affamati di
fronte allo schermo.
Perché quando Fury Road
è finito è finito, e lascia soddisfatti come sei etti di carbonara
e un litro di birra rossa.
Cromarsi la faccia e lanciarsi sui nemici per entrare nel Valhalla.
Cos'altro si può chiedere alla vita?
Il lavoro che gli ha
valso 6 oscar si vede tutto, e non solo nell'ambito delle
scenografie, del trucco e degli effetti speciali.
Il vocabolario degli
abitanti del futuro apocalittico descritto (o ri-descritto) in Fury
Road, ad esempio, è ben costruito e congruente con un'ipotetica
società frutto della deriva incontrollata della nostra “cultura”
di massa. Termini come “blindocisterna”, “latte di madre”,
“cannipazzo”, koala, “vampari”, “acquacola”, Valhalla, e
riflessioni come “i satelliti trasmettono show. Nel vecchio mondo
tutti avevano il loro show” incicciscono l'ambientazione e le danno
verosimiglianza.
I nomi dei personaggi
(Immortan Joe, Il Mangiauomini, Rictus Erectus, the Doof Warrior,
Organic Mechanic) rispecchiano le atmosfere da fumettone che
ricordano quelle di un altro Miller, il caro Frank di Sin City.
Non ho visto la versione
inglese ma sono certo che parte del merito vada anche al lavoro dei
traduttori. Molto efficace.
Un'altra osservazione la
voglio fare a proposito del sangue: pochissimo. Fury Road e la regia
di Miller confermano ciò che sostengo da sempre. Fiumi di sangue e
sbudellamenti sono inutili come una maschera da sub nel deserto del
Gobi. Non rendono il film più crudo, né lo caratterizzano. Stancano
e basta (ed è per questo che io odio il pulp. Troppo facile. Ricordo
l'antica gag di Thomas Prostata – alias Bebo Storti – autore pulp
amico della Gialappa's che riassumeva così il suo lavoro:
“sanguemmerda”. Quando si ha una storia da raccontare e si è
capaci di farlo alla grande, l'accento finisce su ben altro, e il
genere non si esaurisce in due parole.
Dopodiché Fury Road mi
avrebbe avuto lo stesso persino utilizzando espedienti più
pecorecci.
Alla prima inquadratura
del bardo armato di iperchitarra elettrica di fronte a un muro di
casse sarei capitolato comunque. Semplicemente: troppa roba.
Sì, decisamente troppa, troppissima roba. Che figata!
E poi c'è il sorpresone:
Megan Gale!
I più giovani manco
sapranno chi è, ma per quelli più stagionati sarà stato automatico
domandarsi: “ma non era morta?”. In effetti credo l'abbiano
trovata a vagare per il deserto durante le riprese. Era già
abbigliata alla perfezione per il film (dopo vent'anni di totale
assenza dal pianeta ci sta...), e l'hanno inclusa nel progetto mossi
da pietà, e forse perché in effetti il natron l'aveva conservata
piuttosto bene.
A parte l'incipiente calvizie e il grave stato di disidratazione, tutto è finito bene per la povera Megan.
Mad Max... Ah sì, è vero, c'è
anche Mad Max. Beh, fa niente. Il resto del film compensa ampiamente l'homo inutilus che grugnisce per la prima ora e surclassa Clint Eastwood nella gara delle espressioni. Clint almeno aveva quella col cappello.