domenica 27 novembre 2016

Recensione - Mad Max Fury Road

Mad Max Fury Road

(Il Signore delle Saldature)




Turbovecchiette d'assalto – che riescono a essere credibili! –, Charlize Theron come al solito straordinaria, deliri visuali in ogni angolino dello schermo e profluvio di idee.
Ogni macchina, ogni accessorio, ovunque ammiccano piccole gemme d'inventiva.

Monster tracks spaventosi, scocche di maggiolini montate dappertutto, numeri da Cirque du Soleil tra camion in corsa solo per sentirsi gridare: “Ammirami, ammirami!”
Ua! Che storia questo Fury Road! Due ore che schizzano via veloci e potenti come una blindocisterna da 2000cv.

Qualche giorno fa avevo letto la recensione a fumetti di Leo Ortolani (Il buio in sala) che sottolineava come e quanto i giovinastri rampanti di Hollywood avessero da imparare dall'ultrasettantenne George Miller sugli action movie. E aveva ragione!
Il film è leggero, certo, ma coerente e solido, senza buchi di trama e fila dritto verso i titoli di coda senza bisogno di scene post-credits per soddisfare i nerd affamati di fronte allo schermo.
Perché quando Fury Road è finito è finito, e lascia soddisfatti come sei etti di carbonara e un litro di birra rossa.


Cromarsi la faccia e lanciarsi sui nemici per entrare nel Valhalla.
Cos'altro si può chiedere alla vita?


Il lavoro che gli ha valso 6 oscar si vede tutto, e non solo nell'ambito delle scenografie, del trucco e degli effetti speciali.
Il vocabolario degli abitanti del futuro apocalittico descritto (o ri-descritto) in Fury Road, ad esempio, è ben costruito e congruente con un'ipotetica società frutto della deriva incontrollata della nostra “cultura” di massa. Termini come “blindocisterna”, “latte di madre”, “cannipazzo”, koala, “vampari”, “acquacola”, Valhalla, e riflessioni come “i satelliti trasmettono show. Nel vecchio mondo tutti avevano il loro show” incicciscono l'ambientazione e le danno verosimiglianza.

I nomi dei personaggi (Immortan Joe, Il Mangiauomini, Rictus Erectus, the Doof Warrior, Organic Mechanic) rispecchiano le atmosfere da fumettone che ricordano quelle di un altro Miller, il caro Frank di Sin City.
Non ho visto la versione inglese ma sono certo che parte del merito vada anche al lavoro dei traduttori. Molto efficace.

Un'altra osservazione la voglio fare a proposito del sangue: pochissimo. Fury Road e la regia di Miller confermano ciò che sostengo da sempre. Fiumi di sangue e sbudellamenti sono inutili come una maschera da sub nel deserto del Gobi. Non rendono il film più crudo, né lo caratterizzano. Stancano e basta (ed è per questo che io odio il pulp. Troppo facile. Ricordo l'antica gag di Thomas Prostata – alias Bebo Storti – autore pulp amico della Gialappa's che riassumeva così il suo lavoro: “sanguemmerda”. Quando si ha una storia da raccontare e si è capaci di farlo alla grande, l'accento finisce su ben altro, e il genere non si esaurisce in due parole.

Dopodiché Fury Road mi avrebbe avuto lo stesso persino utilizzando espedienti più pecorecci.
Alla prima inquadratura del bardo armato di iperchitarra elettrica di fronte a un muro di casse sarei capitolato comunque. Semplicemente: troppa roba.


Sì, decisamente troppa, troppissima roba. Che figata!


E poi c'è il sorpresone: Megan Gale!
I più giovani manco sapranno chi è, ma per quelli più stagionati sarà stato automatico domandarsi: “ma non era morta?”. In effetti credo l'abbiano trovata a vagare per il deserto durante le riprese. Era già abbigliata alla perfezione per il film (dopo vent'anni di totale assenza dal pianeta ci sta...), e l'hanno inclusa nel progetto mossi da pietà, e forse perché in effetti il natron l'aveva conservata piuttosto bene.

A parte l'incipiente calvizie e il grave stato di disidratazione, tutto è finito bene per la povera Megan.


Mad Max... Ah sì, è vero, c'è anche Mad Max. Beh, fa niente. Il resto del film compensa ampiamente l'homo inutilus che grugnisce per la prima ora e surclassa Clint Eastwood nella gara delle espressioni. Clint almeno aveva quella col cappello.

Posta un commento