Rogue One
A Star Wars Story
E che storia! Una Story alla Robert McKee, con la S maiuscola, enorme.
Rogue One è perfetto, punto. Il regalo di natale ideale per riconciliarsi con Star Wars e superare la vergognosa delusione dell'episodio VII.
Già dopo la fine del primo tempo il giudizio era clamorosamente positivo: da lì alla fine è soltanto migliorato.
Il film è uno dei prodotti più solidi che abbia visto negli ultimi anni. Mi ha rapito, conquistato, e mentre scrivo, a un quarto d'ora dall'uscita dal cinema, avrei voglia di ricominciare a guardarlo daccapo.
La sceneggiatura è un orologio svizzero (perché è stata rivista e affinata fino a essere realmente priva di difetti), i personaggi sono caratterizzati alla perfezione tanto nell'outfit quanto nell'animo, le scenografie sono scure e claustrofobiche, intime e fumose, proprio come quelle degli anni '70 e '80. I punti di raccordo con la trilogia classica sono infiniti, e senza che mai ci sia un ammiccamento gratuito alla J.J. Abrams.
Rogue One è un film intelligente.
Nessun buonismo, nessuna idiozia comportamentale. I buoni, ampiamente imperfetti nella loro bontà, umani e reali, rischiano, e a volte muoiono. I cattivi non sono più soltanto manichini messi là ad assorbire colpi di blaster. Agiscono, colpiscono, uccidono, e lo fanno attivamente e indiscriminatamente.
Persino il droide di turno, K-2SO vince facile la classifica dei robot apparsi nella saga, con buona pace dei mitici C-3PO e R2-D2. Finalmente una macchina utile, sarcastica, smart, e con un ruolo assolutamente attivo nella trama.
Gareth Edwards ha resistito a moltissime tentazioni, e ha fatto bene.
Non c'è nessun Jedi: avrebbe oscurato gli altri personaggi, e assegnargli un ruolo da comprimario non sarebbe stato credibile. Però c'è Chirrut Imwe, che colma il vuoto ed è, col suo compare Baze Malbus, davvero un bel personaggio. Manco a dirlo, anche lui ha un compito fondamentale nella vicenda. Tutti ce l'hanno, e anche i comprimari ti fanno affezionare e tifare per loro.
Ha resistito a riempire di cammei la pellicola, come dicevamo, perché, semplicemente, Rogue One non ha bisogno di appoggiarsi a nulla. In un paio di casi in realtà ha ceduto alla tentazione, ma nel contesto di un filmone così glielo si concede volentieri. Così come ho trovato tollerabili anche alcune scelte (ma queste tutte di casa nostra) relative ai doppiaggi. Non perfette, ma nemmeno catastrofiche.
Ha resistito - grazie davvero Gareth! - alla storia d'amore, e persino al bacio finale.
Ha resistito - in casa Disney! - al lieto fine a tutti i costi.
Ha osato cancellare l'inviolabile sacralità della sequenza iniziale col testo inclinato che scompare in lontananza. Epporcamiseria, ha avuto ragione! Perché Rogue One non è un capitolo della saga, ma uno spin-off, che deve possedere la dignitosa indipendenza dello stand-alone.
E così facendo ha creato lo spin-off perfetto. Ha approfondito la conoscenza dell'universo di Star Wars, ha colmato lacune della storia lasciate aperte dai precedenti film, e ha raccordato le prime due trilogie.
Rogue One è come mezzo mondo si sarebbe atteso l'episodio VII, e se io fossi il Margravio di Disneylandia, ora prenderei tutti i contratti già in essere e ci farei coriandoli.
Poi scritturerei il buon Gareth Edwards e il suo pool di sceneggiatori per realizzare tutti i prossimi film della serie.
Eh sì, perché dopo Rogue One, un altro pastrocchio d'insensatezze scopiazzate non lo potrei proprio sopportare (capito J.J.?), e temo che sarà difficile mantenere l'asticella a questa altezza nei prossimi capitoli.
Un grande saggio una volta disse che c'è fare o non fare, non c'è provare.
A me invece basterebbe che a differenza di quanto ha fatto Abrams, i successori di Edwards almeno ci provino.