venerdì 29 dicembre 2017

Canti del solstizio d'Inverno


Bagaglio migliore
non si portano gli uomini in viaggio
di un gran buon senso.
Della ricchezza, più utile
si rivela in un paese sconosciuto:
tale è la salvezza del disperato.
--
Hàvamàl, Il Discorso di Hàr


Accadeva da diverso tempo che i villani di Bolungavik prestassero poca attenzione agli dei.
Li assorbivano le attività dei pascoli, della pesca e dell'artigianato, tanto da far loro dimenticare di onorare Thor e Artia. Si resero conto troppo tardi del loro peccato, spendendosi in preghiere e piagnistei.
I superni erano adirati, e la stagione sarebbe stata particolarmente dura: il ghiacciaio era arrivato al limite del paese, e non accadeva da una generazione intera. Per un uomo a piedi il passo di Ùlfur era ancora sicuro, ma, di fatto, Bolungavik era rimasto in isolamento.
Il bestiame veniva tenuto in casa – sopravviveva a stento –, e la notte le famiglie si stringevano tutte nel badstofa per scaldarsi col calore dei corpi, ma le scorte di legname si sarebbero esaurite con almeno un mese d'anticipo, nonostante gli sforzi.
Nella casa di Beod, il figlio maggiore Sigur perse la pazienza: «Occorre cercare aiuto! Siamo quasi privi di fuoco, come faremo senza?»
Suo fratello minore, Bjorn, gli parlò con pacatezza: «Dobbiamo pregare gli dei, aver fede. Non lasceranno morire i loro figli.»
«È questa la tua idea? Questi i tuoi consigli? Gli dei ci stanno punendo, oppure ci hanno abbandonato!»
«Nessuno conosce il loro volere, fratello. Non abbiamo controllo sul fato.»
«Voi restate qui a pregare» disse Sigur, colmo di frustrazione «me ne vado, così ci sarà più legna per voi. E mentre vi scaldate, cercherò una soluzione.»
Così, il 9 di gennaio, nel giorno di Raud il Forte, che aveva pagato con la morte il bene della sua gente, Sigur decise di partire alla ricerca di legname, coraggiosamente.

 
Bjorn rimase a casa, guardò il fratello allontanarsi. Stavano sempre insieme, ma erano talmente diversi! Rivolse un'invocazione al cielo, perché il senno lo colmasse di nuovo, ma non accadde nulla.
Sigur lo aveva accudito da sempre, da quando dormiva nella culla. Cosa avrebbe fatto se non fosse tornato?
Col cuore gonfio di timori si lanciò fuori, ma Sigur era svanito.
Le grida dei genitori si persero nell'aria. Ormai era deciso: avrebbe cercato di riportare a casa il suo sangue, il suo amico.
Sigur e Bjorn erano fratelli cacciatori, nati e cresciuti nel villaggio, da poco divenuti adulti. Avevano ignorato le suppliche delle loro famiglie, gli ammonimenti dei vecchi e persino gli insulti, e si erano allontanati coperti di pelli lungo il passo di Ùlfur, portando con sé la speranza di poter salvare Bolungavik da infausti destini, unico loro scopo. Prima era andato Sigur, e Bjorn poco dopo.
Ben presto si scatenò su tutto una forte tempesta, la neve che turbinava e impediva di vedere a tre passi nella foresta. Separati senza sapere dell'altro, si coprirono coi cappucci di pelliccia, ma prima di metà mattina, disperati, dovettero riparare sotto le rocce.
Sigur piangeva la mancanza dei suoi cari, che temeva di non rivedere. Bjorn cercava il fratello, pieno di rimorso per averlo lasciato andare.
Il valico avrebbe richiesto tre giorni interi, così Sigur e Bjorn ripresero il proprio cammino appena possibile, perché sapevano quanto ogni istante perso potesse significare.


 Durante il terzo giorno, quando le montagne stavano per aprirsi di fronte ai due cacciatori, il gigante Thun mandò una valanga per tagliarli fuori, impedendo loro la strada del ritorno.
Sigur e Bjorn erano soli, e non c'era verso di tornare indietro, se non aggirando l'intera catena dei Fornfjöll in un lungo giro in tondo.
I due fratelli decisero di non perdersi d'animo, affrontando un problema alla volta: Sigur si disse che prima di tornare a Bolungavik doveva trovare il legno. Bjorn, osservando la furia degli elementi pianse, ma se anche avesse trovato soltanto un corpo, per Thor, doveva riportarne a casa un pegno.
Così proseguirono entrambi lungo passaggi scivolosi, discendendo dal fianco del monte.
Bjorn si diresse a ovest, Sigur a oriente.
Sigur costeggiò la grande roccia e il suo sentiero prese a salire, svanendo tra le chiome degli alberi, nell'abbacinante niente. Non si voltò mai.
Bjorn guardò a lungo indietro, prima di incamminarsi, domandosi se avrebbe rivisto casa e trovato suo fratello, prima o poi.
Sigur si fece strada nella neve per due giorni interi, maledicendo il cielo, sfidando Odino, riparando sotto le rocce e il tronco di un vecchio pino; la notte sopportò il gelo e i sogni più neri.
Quando gli erano rimasti solo un corno di sidro e nemmeno due tozzi di pane interi, scorse nel bianco le forme di case lontane. Non sarebbe morto! Aveva avuto ragione nel creasi il proprio destino. Dal comignolo della fattoria saliva una sottile colonna di fumo, e il cacciatore corse per arrivarle vicino.
Accanto alla casa sorgeva un grande capanno privo di porta, senza camino. Il tetto era spiovente, e al suo interno centinaia di tronchi stagionati erano stipati e ordinati in cataste promettenti.

 
Sigur bussò con veemenza e gli vennero offerte ospitalità e vino caldo speziato, come d'usanza. Cenarono in una piccola stanza, e il ragazzo, lieto della sosta, raccontò al contadino e alla moglie del suo viaggio e del bisogno di Bolungavik, suo minuscolo villaggio.
Il contadino si consultò con sua moglie, poi avanzò una proposta: «Un orso funesta le nostre terre e ci impedisce di pascolare il bestiame. Senza le pecore moriremo di stenti e di freddo. Trovalo durante il letargo di questi giorni, uccidilo, e avrai il legname.»
Sigur accettò con vigorose strette di mani. Era lieto di poter offrire in cambio qualcosa, e uccidere un orso gli avrebbe assicurato lustro tra i suoi compaesani, forse persino procurato una sposa.
«Mangia ora, e dopo riposa. E per la tua impresa, impugna questa.» Il contadino e sua moglie lo rifocillarono, poi la donna gli porse una robusta lancia che era stata del suo primo figlio, morto nel tentativo di uccidere la bestia.
Sigur seguì le indicazioni della coppia, e si addentrò nella foresta.
Camminò per mezza giornata e giunse di fronte una parete verticale, una grotta con l'entrata coperta da una piccola slavina.
Si fece largo con la forza del braccio, scavando con le mani nella neve, finché non ricavò un passaggio. Dall'altra parte si apriva una caverna.
Sigur ascoltò il silenzio, prestò attenzione. Non c'era molta luce, e lasciò che gli occhi, abbagliati dalla neve, si abituassero alla sua diminuzione.
Nella grotta scorse un corpo raggomitolato. Il grande animale riposava a pochi passi da lui, addormentato.
Il cacciatore sollevò la lancia e avanzò con passo di velluto. Sapeva come muoversi di fronte a una preda: non avrebbe avuto altre possibilità. Quando fu a meno di due passi si preparò a scagliare, ma qualcuno prese a gridare, e gli si gettò addosso.
«No!» urlò Bjorn, sbucato da sotto la mole dell'orso.
Sigur se lo scrollò di dosso e si apprestò di nuovo a colpire. La lancia fece resistenza, e lui la strattonò. Bjorn gridò di dolore, il sangue macchiò i suoi vestiti. L'orso, svegliato dal trambusto, osservava la scena, senza capire.
Sigur guardò con orrore la punta di ferro macchiata di rosso. «Bjorn! Spostati!»
Bjorn, privo di forze, cadde in ginocchio, mormorando: «Non posso».
«Solo uccidendo l'orso avremo il legname. È un assassino e un ladro di bestiame!»
«Sono stato travolto da una bufera. L'orso mi ha protetto e riscaldato, mi ha sfamato col suo latte e perciò mi sono salvato.»
«Dobbiamo andare, fratello, sei ferito. La sua vita per la tua e quella della tua gente.»
«È un pesante fardello, non voglio condannarli, ma nemmeno essere ricordato per la morte di un animale innocente.»
Il grande orso sbucò da dietro Bjorn, placidamente, calpestando una pozza di sangue, mettendosi nel mezzo.
Sigur lo guardò negli occhi, e qualcosa, nella sua determinazione, si incrinò. Abbassò la lancia e disse: «Non è questo l'orso che cerco, la paura mi ha reso pazzo. Il suo sguardo è puro, e non c'è animosità in lui. Per questa caccia ho rinnegato gli dei e colpito mio fratello. Mi ero sbagliato.»
Per tutta risposta, l'animale emise uno sbuffo, una nuvoletta d'aria fredda e fiato condensato.
Sigur scorse nello sguardo dell'orso le pene dei suoi cari, la sofferenza del villaggio. Era solo una visione, ma gli ricordò l'urgenza. Prese un lungo respiro, poi proseguì: «Se l'uccido il contadino ci darà comunque la legna. E un predatore in meno minaccerà gli armenti.»
«Non è questo che nostro padre ci ha trasmesso, Sigur. Il braccio stringe la lancia, ma è il cuore che la muove. Porteresti con te la colpa, i tormenti.»


Sigur esitò.
Prima che qualcuno parlasse di nuovo, l'orso si sollevò su due zampe. Era tanto grande da sfiorare col muso il soffitto dell'ambiente. Poi il suo corpo prese a tremare, scosso dai cambiamenti.
Rimpicciolendosi perse il pelo e assunse le sembianze di una bellissima donna. Aveva occhi verdi e lunghi capelli castani e setosi. Dalla grotta scomparve la paura.
«Io sono Artia, Signora della natura, e vi darò il mio aiuto» disse la donna. La sua voce era una brezza leggera sulla riva di un lago, la melodia di un liuto.
«Non ho nulla da offrire, sto morendo, e ho già bevuto il tuo latte!» spiegò Bjorn disperato, inginocchiandosi di fronte alla dea, tremante.
«Hai mostrato fiducia in un animale selvaggio e pietà per gli innocenti, questo è sufficiente.»
«Stavo per toglierti la vita! Ho colpito la mia famiglia!» le gridò Sigur, affranto.
«Cercavi di aiutare. Tu hai guardato nei miei occhi, io nel tuo cuore. La tua mano tremava già da prima: non avresti colpito, solo pianto.»
Guardando la dea, Bjorn esalò l'ultimo respiro, e il suo spirito volò sul ponte bifrǫst, tenendo verso la casa dei padri la rotta.
Artia sollevò il suo corpo tra le braccia e uscì dalla grotta, e ovunque posasse il piede la neve cedeva il passo ai fiori.
La Signora dei boschi condusse Sigur di fuori, dai contadini, e promise che non sarebbe più successo niente; nessun orso avrebbe turbato la quiete dei loro giardini, perché i due fratelli le avevano restituito fiducia nella gente.
Promise di intercedere con Odino, padre degli dei, perché l'inverno si mostrasse clemente.
Adagiò Bjorn su una piccola collina, e un grande albero sorse dalle sue spoglie. Aveva un largo tronco e forti rami. Era una pianta viva, ma non aveva foglie.
Artia lo accarezzò. «Questa è la fonte del legno che vi concedo. Vi terrà caldi e al riparo dal gelo. Creerà nuovi rami e sarà un protettore.»
Sigur ammirò il prodigio e salutò il fratello, promettendo di imparare da chi gli era stato migliore.
Artia creò una slitta di tronchi con un canto leggero, e per permettere a Sigur di trasportare il legname a Bolungavik, fece sorgere un lungo sentiero.
Era il 14 di gennaio, giorno di Thorrablot, con il sole che cominciava già a risplendere più a lungo, quando Sigur, salutata la dea, riportò in paese la vita.
Da allora nessun orso fu più ucciso a ovest dei monti, e delle greggi nessuna mattanza.
Sulla collina di Hæð Fórnar si staglia ancora una quercia antica, e al valico di Ùlfur fu cambiato il nome. Divenne Ferð Von, Passo della Speranza.

 

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