Bagaglio
migliore
non
si portano gli uomini in viaggio
di
un gran buon senso.
Della
ricchezza, più utile
si
rivela in un paese sconosciuto:
tale
è la salvezza del disperato.
--
Hàvamàl,
Il Discorso di Hàr
Accadeva da diverso tempo che i villani di Bolungavik prestassero
poca attenzione agli dei.
Li
assorbivano le attività dei pascoli, della pesca e dell'artigianato,
tanto da far loro dimenticare di onorare Thor e Artia. Si resero
conto troppo tardi del loro peccato, spendendosi in preghiere e
piagnistei.
I
superni erano adirati, e la stagione sarebbe stata particolarmente
dura: il ghiacciaio era arrivato al limite del paese, e non accadeva
da una generazione intera. Per un uomo a piedi il passo di Ùlfur
era ancora sicuro, ma, di fatto, Bolungavik era rimasto in
isolamento.
Il
bestiame veniva tenuto in casa – sopravviveva a stento –, e la
notte le famiglie si stringevano tutte nel badstofa per scaldarsi col
calore dei corpi, ma le scorte di legname si sarebbero esaurite con
almeno un mese d'anticipo, nonostante gli sforzi.
Nella
casa di Beod, il figlio maggiore Sigur perse la pazienza: «Occorre
cercare aiuto! Siamo quasi privi di fuoco, come faremo senza?»
Suo
fratello minore, Bjorn, gli parlò con pacatezza: «Dobbiamo pregare
gli dei, aver fede. Non lasceranno morire i loro figli.»
«È
questa la tua idea? Questi i tuoi consigli? Gli dei ci stanno
punendo, oppure ci hanno abbandonato!»
«Nessuno
conosce il loro volere, fratello. Non abbiamo controllo sul fato.»
«Voi
restate qui a pregare» disse Sigur, colmo di frustrazione «me ne
vado, così ci sarà più legna per voi. E mentre vi scaldate,
cercherò una soluzione.»
Così,
il 9 di gennaio, nel giorno di Raud il Forte, che aveva pagato con la
morte il bene della sua gente, Sigur decise di partire alla ricerca
di legname, coraggiosamente.
Bjorn
rimase a casa, guardò il fratello allontanarsi. Stavano sempre
insieme, ma erano talmente diversi! Rivolse un'invocazione al cielo,
perché il senno lo colmasse di nuovo, ma non accadde nulla.
Sigur
lo aveva accudito da sempre, da quando dormiva nella culla. Cosa
avrebbe fatto se non fosse tornato?
Col
cuore gonfio di timori si lanciò fuori, ma Sigur era svanito.
Le
grida dei genitori si persero nell'aria. Ormai era deciso: avrebbe
cercato di riportare a casa il suo sangue, il suo amico.
Sigur
e Bjorn erano fratelli cacciatori, nati e cresciuti nel villaggio, da
poco divenuti adulti. Avevano ignorato le suppliche delle loro
famiglie, gli ammonimenti dei vecchi e persino gli insulti, e si
erano allontanati coperti di pelli lungo il passo di Ùlfur,
portando con sé la speranza di poter salvare Bolungavik da infausti
destini, unico loro scopo. Prima era andato Sigur, e Bjorn poco dopo.
Ben
presto si scatenò su tutto una forte tempesta, la neve che turbinava
e impediva di vedere a tre passi nella foresta. Separati senza sapere
dell'altro, si coprirono coi cappucci di pelliccia, ma prima di metà
mattina, disperati, dovettero riparare sotto le rocce.
Sigur
piangeva la mancanza dei suoi cari, che temeva di non rivedere. Bjorn
cercava il fratello, pieno di rimorso per averlo lasciato andare.
Il
valico avrebbe richiesto tre giorni interi, così Sigur e Bjorn
ripresero il proprio cammino appena possibile, perché sapevano
quanto ogni istante perso potesse significare.
Durante
il terzo giorno, quando le montagne stavano per aprirsi di fronte ai
due cacciatori, il gigante Thun mandò una valanga per tagliarli
fuori, impedendo loro la strada del ritorno.
Sigur
e Bjorn erano soli, e non c'era verso di tornare indietro, se non
aggirando l'intera catena dei Fornfjöll
in un lungo giro in tondo.
I due
fratelli decisero di non perdersi d'animo, affrontando un problema
alla volta: Sigur si disse che prima di tornare a Bolungavik doveva
trovare il legno. Bjorn, osservando la furia degli elementi pianse,
ma se anche avesse trovato soltanto un corpo, per Thor, doveva
riportarne a casa un pegno.
Così
proseguirono entrambi lungo passaggi scivolosi, discendendo dal
fianco del monte.
Bjorn
si diresse a ovest, Sigur a oriente.
Sigur
costeggiò la grande roccia e il suo sentiero prese a salire,
svanendo tra le chiome degli alberi, nell'abbacinante niente. Non si
voltò mai.
Bjorn
guardò a lungo indietro, prima di incamminarsi, domandosi se avrebbe
rivisto casa e trovato suo fratello, prima o poi.
Sigur
si fece strada nella neve per due giorni interi, maledicendo il
cielo, sfidando Odino, riparando sotto le rocce e il tronco di un
vecchio pino; la notte sopportò il gelo e i sogni più neri.
Quando
gli erano rimasti solo un corno di sidro e nemmeno due tozzi di pane
interi, scorse nel bianco le forme di case lontane. Non sarebbe
morto! Aveva avuto ragione nel creasi il proprio destino. Dal
comignolo della fattoria saliva una sottile colonna di fumo, e il
cacciatore corse per arrivarle vicino.
Accanto
alla casa sorgeva un grande capanno privo di porta, senza camino. Il
tetto era spiovente, e al suo interno centinaia di tronchi stagionati
erano stipati e ordinati in cataste promettenti.
Sigur
bussò con veemenza e gli vennero offerte ospitalità e vino caldo
speziato, come d'usanza. Cenarono in una piccola stanza, e il
ragazzo, lieto della sosta, raccontò al contadino e alla moglie del
suo viaggio e del bisogno di Bolungavik, suo minuscolo villaggio.
Il
contadino si consultò con sua moglie, poi avanzò una proposta: «Un
orso funesta le nostre terre e ci impedisce di pascolare il bestiame.
Senza le pecore moriremo di stenti e di freddo. Trovalo durante il
letargo di questi giorni, uccidilo, e avrai il legname.»
Sigur
accettò con vigorose strette di mani. Era lieto di poter offrire in
cambio qualcosa, e uccidere un orso gli avrebbe assicurato lustro tra
i suoi compaesani, forse persino procurato una sposa.
«Mangia
ora, e dopo riposa. E per la tua impresa, impugna questa.» Il
contadino e sua moglie lo rifocillarono, poi la donna gli porse una
robusta lancia che era stata del suo primo figlio, morto nel
tentativo di uccidere la bestia.
Sigur
seguì le indicazioni della coppia, e si addentrò nella foresta.
Camminò
per mezza giornata e giunse di fronte una parete verticale, una
grotta con l'entrata coperta da una piccola slavina.
Si
fece largo con la forza del braccio, scavando con le mani nella neve,
finché non ricavò un passaggio. Dall'altra parte si apriva una
caverna.
Sigur
ascoltò il silenzio, prestò attenzione. Non c'era molta luce, e
lasciò che gli occhi, abbagliati dalla neve, si abituassero alla sua
diminuzione.
Nella
grotta scorse un corpo raggomitolato. Il grande animale riposava a
pochi passi da lui, addormentato.
Il
cacciatore sollevò la lancia e avanzò con passo di velluto. Sapeva
come muoversi di fronte a una preda: non avrebbe avuto altre
possibilità. Quando fu a meno di due passi si preparò a scagliare,
ma qualcuno prese a gridare, e gli si gettò addosso.
«No!»
urlò Bjorn, sbucato da sotto la mole dell'orso.
Sigur
se lo scrollò di dosso e si apprestò di nuovo a colpire. La lancia
fece resistenza, e lui la strattonò. Bjorn gridò di dolore, il
sangue macchiò i suoi vestiti. L'orso, svegliato dal trambusto,
osservava la scena, senza capire.
Sigur
guardò con orrore la punta di ferro macchiata di rosso. «Bjorn!
Spostati!»
Bjorn,
privo di forze, cadde in ginocchio, mormorando: «Non posso».
«Solo
uccidendo l'orso avremo il legname. È un assassino e un ladro di
bestiame!»
«Sono
stato travolto da una bufera. L'orso mi ha protetto e riscaldato, mi
ha sfamato col suo latte e perciò mi sono salvato.»
«Dobbiamo
andare, fratello, sei ferito. La sua vita per la tua e quella della
tua gente.»
«È
un pesante fardello, non voglio condannarli, ma nemmeno essere
ricordato per la morte di un animale innocente.»
Il
grande orso sbucò da dietro Bjorn, placidamente, calpestando una
pozza di sangue, mettendosi nel mezzo.
Sigur
lo guardò negli occhi, e qualcosa, nella sua determinazione, si
incrinò. Abbassò la lancia e disse: «Non è questo l'orso che
cerco, la paura mi ha reso pazzo. Il suo sguardo è puro, e non c'è
animosità in lui. Per questa caccia ho rinnegato gli dei e colpito
mio fratello. Mi ero sbagliato.»
Per
tutta risposta, l'animale emise uno sbuffo, una nuvoletta d'aria
fredda e fiato condensato.
Sigur
scorse nello sguardo dell'orso le pene dei suoi cari, la sofferenza
del villaggio. Era solo una visione, ma gli ricordò l'urgenza. Prese
un lungo respiro, poi proseguì: «Se l'uccido il contadino ci darà
comunque la legna. E un predatore in meno minaccerà gli armenti.»
«Non
è questo che nostro padre ci ha trasmesso, Sigur. Il braccio stringe
la lancia, ma è il cuore che la muove. Porteresti con te la colpa, i
tormenti.»
Sigur
esitò.
Prima
che qualcuno parlasse di nuovo, l'orso si sollevò su due zampe. Era
tanto grande da sfiorare col muso il soffitto dell'ambiente. Poi il
suo corpo prese a tremare, scosso dai cambiamenti.
Rimpicciolendosi
perse il pelo e assunse le sembianze di una bellissima donna. Aveva
occhi verdi e lunghi capelli castani e setosi. Dalla grotta scomparve
la paura.
«Io
sono Artia, Signora della natura, e vi darò il mio aiuto» disse la
donna. La sua voce era una brezza leggera sulla riva di un lago, la
melodia di un liuto.
«Non
ho nulla da offrire, sto morendo, e ho già bevuto il tuo latte!»
spiegò Bjorn disperato, inginocchiandosi di fronte alla dea,
tremante.
«Hai
mostrato fiducia in un animale selvaggio e pietà per gli innocenti,
questo è sufficiente.»
«Stavo
per toglierti la vita! Ho colpito la mia famiglia!» le gridò Sigur,
affranto.
«Cercavi
di aiutare. Tu hai guardato nei miei occhi, io nel tuo cuore. La tua
mano tremava già da prima: non avresti colpito, solo pianto.»
Guardando
la dea, Bjorn esalò l'ultimo respiro, e il suo spirito volò sul
ponte bifrǫst, tenendo verso la casa dei padri
la rotta.
Artia
sollevò il suo corpo tra le braccia e uscì dalla grotta, e ovunque
posasse il piede la neve cedeva il passo ai fiori.
La
Signora dei boschi condusse Sigur di fuori, dai contadini, e promise
che non sarebbe più successo niente; nessun orso avrebbe turbato la
quiete dei loro giardini, perché i due fratelli le avevano
restituito fiducia nella gente.
Promise
di intercedere con Odino, padre degli dei, perché l'inverno si
mostrasse clemente.
Adagiò
Bjorn su una piccola collina, e un grande albero sorse dalle sue
spoglie. Aveva un largo tronco e forti rami. Era una pianta viva, ma
non aveva foglie.
Artia
lo accarezzò. «Questa è la fonte del legno che vi concedo. Vi
terrà caldi e al riparo dal gelo. Creerà nuovi rami e sarà un
protettore.»
Sigur
ammirò il prodigio e salutò il fratello, promettendo di imparare da
chi gli era stato migliore.
Artia
creò una slitta di tronchi con un canto leggero, e per permettere a
Sigur di trasportare il legname a Bolungavik, fece sorgere un lungo
sentiero.
Era
il 14 di gennaio, giorno di Thorrablot, con il sole che cominciava
già a risplendere più a lungo, quando Sigur, salutata la dea,
riportò in paese la vita.
Da
allora nessun orso fu più ucciso a ovest dei monti, e delle greggi
nessuna mattanza.
Sulla
collina di Hæð Fórnar si staglia ancora
una quercia antica, e al valico di Ùlfur fu cambiato il nome.
Divenne Ferð Von, Passo della Speranza.