venerdì 26 maggio 2017

Recensione - Alien:Covenant

Ridley Scott

Alien:Covenant




Alien: Covenant è il secondo film della tetralogia di prequel (mioddio) che anticipa la saga classica dei celebri xenomorfi. In questo capitolo scopriamo qualcosa di più sulla genesi dei mostri più famosi della storia del cinema (e sui loro cugini, i lattiginosi neomorfi).
La prima cosa che veniamo a sapere è che Ridley Scott è stata la prima vittima del mutagene inventato dagli Ingegneri: ne è rimasto contaminato durante la lavorazione di Prometheus, ed è esploso in faccia alla troupe prima di riuscire a mettere mano allo screenplay di Covenant.
Dispiace, era uno bravo.

Ma veniamo alla vicenda.
Alien: Covenant orbita attorno a un enorme buco nero, nel buon senso e nell'originalità, e per quasi tutto il primo tempo non si vede altro.
Trama: una spedizione di coloni in rotta verso un pianeta lontano finisce su un mondo sconosciuto e viene a trovarsi alle prese con gli xenomorfi. Dai, davvero? E questo Alien: Covenant quando è stato scritto? Nel 1979? Nell'82? No, tipo quarantanni dopo, riciclando selvaggiamente la stessa idea.
Va beh, tutto sommato questo uno lo poteva sapere anche prima di entrare in sala, quindi visto che siamo voluti a tutti costi andare al cinema, proseguiamo.

[Allerta Spoiler – e, credetemi, vi faccio un piacere]
L'equipaggio della Covenant è formato da un gruppo di coppie che, come ci verrà confermato nel resto della pellicola, è stato in realtà espulso dalla Terra per liberare il pianeta dai peggiori idioti che lo abbiano mai calpestato.
Siccome non c'ho voglia di ripercorre tutto il film scemenza dopo scemenza, mi limiterò a una disamina dei non-sense più clamorosi.
Siamo nel 2104, l'umanità viaggia alla scoperta di altri mondi, e le navi non hanno un sistema antincendio automatizzato. Il tutto è affidato alle mani di un androide che in caso di pericolo passeggia tranquillamente impiegando una buona mezzora ad arrivare dal punto in cui si trova alla cabina di comando in fiamme.
E così tra le fiamme muore James Franco senza aver neanche messo la faccia nel film.

Film che è iniziato da dieci minuti e ha già perso le uniche due personalità che sarebbero state in grado di ricavarne qualcosa, Scott e Franco, così che al pubblico non rimane che il gruppo di disadattati sociali in rotta verso l'incolpevole pianeta Origae 6.
La nave danneggiata intercetta una comunicazione e durante una riunione si decide che il luogo da cui proviene vale bene una visitina, perché oh, è vero che abbiamo la responsabilità di duemila coloni e millecinquecento embrioni, però che due maroni la criostasi, andiamo a vedere.
Così Forrest Gump, Simple Jack, Rainman e Sam sbarcano.



L'equipaggio della Covenant


Com'è bello camminare in una valle verde, recitava un vecchio slogan, soprattutto su un pianeta alieno di cui non si sa nulla, a cominciare da quante ore di luce sarebbero rimaste. Chissenefrega. Dov'è la fonte del segnale? Otto chilometri di foresta montana più in là? Fatto, andiamo.
Ehi oh, Ehi oh, Fantozzi, Filini e la Signorina Silvani si incamminano.
Dopo un po' la Signorina Silvani decide che una pozza di fanghiglia putrescente è un posto buono per fare analisi biologiche e lascia il gruppo con il benestare del comandante (acuto e assennato come Peter Griffin), che le affida come protezione il maestro di buon senso di Donald Trump, il quale, con un originalissimo coupe de theatre (“vado in bagno”), si allontana e calpesta delle sacche di spore che lo condannano.
Poi, già che c'è, essendo parte di un selezionatissimo equipaggio di colonizzatori, butta una sigaretta accesa nel bel mezzo di una foresta. Per sua fortuna gli sceneggiatori erano quelli del Pianeta delle Scimmie (intendo proprio le Scimmie) e la foresta si salva.

Il resto del gruppo arriva all'astronave fonte del segnale radio e il gemello d'intelligenza di quello di prima (perché è chiaro che condividessero un unico cervello, peraltro AB-norme) si china su una sacca di spore al grido di “Oh che bella, cos'è questa cosa sconosciuta, cacciamoci le dita dentro”. Chissà quale sarà la conseguenza di queste azioni...

Due neonomorfi lattiginosi (in realtà belli dal punto di vista visuale, unica cosa gradevole, la grafica, del film) saltano fuori dai rispettivi ospiti e fanno – giustamente – un macello.
Perché giustamente? Primo perché il più beota gruppo di deficienti che Hollywood abbia mai messo sullo schermo se lo merita.
Secondo, ecco un altro esempio.

L'inutile capitano della spedizione, in uno sprazzo di saggezza, comunica a una sottoposta di osservare scrupolosamente i protocolli di sicurezza: portelli chiusi e che nessuno entri nella nave da sbarco mentre loro sono via. Meno male, penso io. Una cosa sensata.
Solo che Clarabella non ci pensa due volte a riprendere a bordo la biologa della pozza e il suo compare contaminato da uno sconosciuto agente biologico.
Poi anche lei ha un momento di lucidità e li chiude dentro l'infermeria. Brava! Dico io. Sacrifichi due compagni per la sicurezza della spedizione, crudele ma sensato.
Devo averlo pensato troppo forte, perché la tipa mi guarda e pensa bene di riaprire la porta non appena il mostro di turno si è palesato massacrando i suoi due inermi compagni.
Poi si mette a sparare all'impazzata sulle bombole del gas.
Per lo meno ha avuto il buon gusto di morire arsa viva nel rogo della nave da sbarco.

WOW! E siamo solo alla mezzora! Dove ci porterà questa fiera dell'idiozia?
Lontano amici, molto lontano (dalla decenza).
Insomma, i nostri eroi si ritrovano isolati, anche se in orbita il facente funzioni di Capitano (Findus) non sta più nella pelle ora che anche lui ha la possibilità di mandare in vacca la missione tuffandosi dritto dritto nella tempesta nonostante il computer di bordo continui a dirgli “no” “no” “no” “no”.
E alla fine lo fa, perché dai, vuoi proprio lasciarli lì quei quattro imbecilli?

Intanto a terra si svelano terribili retroscena e comincia lo spara spara, che in quanto tale fila via un po' più liscio. Un po'.
Una delle ultime perle infatti ci viene offerta da una concitata scena di battaglia tra lo xenomorfo e l'equipaggio dei superstiti che tenta di riprendere il cielo con un'altra navetta.
L'alieno è pervicacemente attaccato allo scafo, ma grazie a sensori e telecamere il valente Findus se ne accorge. “Abbiamo compagnia!” avverte.
Allora il primo ufficiale, la "protagonista" (che la povera Ripley sta creando uragani a forza di rigirarsi nella tomba...) prende le redini: “Fammi uscire!” grida.
Fammi uscire?!
La nave è diretta alla stratosfera e ti preoccupi di una zecca attaccata allo scafo? Fammi uscire?

E poi la lotta finale sulla Covenant e il colpo di scena che era stato didascalicamente anticipato da una buona venticinquina di minuti (metti che tra il pubblico ci fosse qualcuno sotto i cinque anni...) dalla lotta dei due androidi, quello buono ma scemo della Covenant e quello malvagio della Prometheus, unico sopravvissuto dell'altra spedizione.
Ah, sì! Cavolo, non posso mica chiudere senza una citazione dell'androide pazzo!
Vi basterà sapere che i Sintetici della Weyland sono soggetti a noia, problemi di alcolismo e crescita incontrollata dei capelli.

Ah, quante emozioni in queste due ore.

Prometheus, Covenant: non vedo l'ora che arrivino Idiocracy 2 e 3 a completare la tetralogia.

mercoledì 24 maggio 2017

Recensione - Alien:Covenant

ALIEN:COVENANT

[seconda recensione]
di TheGardener87


Dopo alcuni anni dal deludente Prometheus Ridley Scott stuzzica il nostro bisogno di Alien con questo sequel. Cercherò quindi di mettere in luce [a suon di spoiler, quindi occhio, NdR] la profondità di questa ennesima delusione.
Il film si apre con una scena in cui Michael Fassbender (David) è protagonista, come del resto in tutta la pellicola, seguita dalla veduta di una nave coloniale, la Covenant, lanciata nelle profondità dello spazio col suo carico dormiente di coloni ed embrioni, dove troviamo ancora una volta Michael Fassbender (Walter) a interpretare un altro sintetico che vigila durante la lunga parentesi del criosonno verso Origae 6.
Ora, capisco che il buon Fassbender (Alfonso) sia molto bravo e abbia un viso caratteristico, ma tutta la trama si sviluppa intorno alle parole e ai gesti dei due androidi da lui interpretati, lasciando agli altri attori poco più di due battute: gran parte dei personaggi infatti non arriva nemmeno ad avere un nome proprio, e men che meno una personalità e motivazioni.
Ci si aspettava un altro volto noto per questo Alien:Covenant, l’istrionico James Franco, che però esce di scena in meno di 15 minuti netti senza dire una parola: posso capire che sia un nome che attira, ma inserirlo nel cast per una parte che è poco più di un cammeo mi sembra una presa in giro nei confronti del pubblico pagante.

I film di fantascienza, anche i migliori, hanno spesso qualche lacuna dal punto di vista fisico/scientifico, ma se queste lacune non vanno a incidere sulla credibilità della storia (tenendo presente che si tratta di “fanta” scienza, non di un documentario che cerca il placet del Clan Angela) in nessun modo pregiudicano la godibilità del prodotto. Anche il primo Alien del ’79 aveva le sue pecche, ma si trattava di dettagli che solo qualcuno davvero puntiglioso avrebbe additato come difetto.

In Alien:Covenant queste lacune non sono né piccole né trascurabili, e spogliano tutta la pellicola di quell'aspetto scientifico che ci si aspettava, trasformando un franchise emblematico in una banale sequenza di cliché da film horror per la tv.

Tornando alla vicenda, ci si aspetterebbe che nello spazio, per un compito di così grande responsabilità, umana ed economica, ci sia il meglio del meglio (del meglio): personale addestrato fino all'apice del condizionamento fisico e mentale, in grado di reagire con lucidità e professionalità ai pericolosi imprevisti che posso accadere nello spazio, ancor più su un misterioso pianeta alieno con una biosfera completamente sconosciuta. Invece, se dicessi che quando vado a camminare la domenica in collina sono più avveduto io, forse non renderei ancora bene l’idea.

Alien:Covenant ci propone un equipaggio male organizzato, male addestrato, incapace di valutare ogni rischio e completamente asservito a scelte scriteriate dettate da un unico imperativo: “MACCISONO I NOSTRI AMICI LASSOTTO!”; un gruppo male assortito che devia dalla rotta prevista unicamente sulla base di un’urgenza inesistente, e per di più nel corso di una missione già a rischio di fallimento. Gruppo che continua ovviamente a dividersi appena se ne presenta l’occasione [perché cambiare, che poi se no il pubblico mi si confonde, NdR], e mai, per nessun motivo, a riflettere un secondo su quello che sta per fare.

Nel primo storico Predator, quando Mac grida “Contatto!” tutti, da bravi professionisti, si dividono in una solida linea di fuoco e saturano la radura con quintali di piombo senza rischiare in alcun modo di ferirsi a vicenda (se nella vostra mente non state riassaporando la scena avete ben altro da vedere che questo Covenant di cui scriviamo).
Questi qui al primo pericolo sparano in mezzo a bombole di propano e fanno fuoco sulla creatura che è in mezzo a loro mentre formano un cerchio perfetto.



Sparate! Sparate su tutto!


Datemi retta: non servivano gli alieni per far morire sti tizi, bastava aspettare che facessero tutto da soli.
Perciò il primo tempo è un’assoluta tragedia (o una tragicommedia), mentre nel secondo, complici i piacevoli fondali e le scenografie ben fatte (anche se non eccelse), l’asticella si risolleva leggermente, pur senza volare alto.

Trovo necessario precisare che l’influenza di Giger nelle sceneggiature e nel design degli ambienti è un fievole ricordo, il pianeta infatti non ha nulla a che spartire con l’ostile LV-426, la roccia primordiale dal freddo intenso descritta da Ash, e nemmeno con gli interni dei livelli inferiori della Nostromo, oscuri e pieni di strane strutture il cui scopo rimane misterioso, ma assomiglia di più a una fertile vallata alpina.


   
1) Alien - 2) Molto Alien - 3) Belle e Sebastien

Quello che davvero manca in questo Alien è la tensione: neomorfi e xenomorfi infatti sembrano quasi un riempitivo e tutte le soluzioni adottate per risolvere trama e conflitti sono talmente trite e abusate da essere del tutto prive di pathos.
Non bastano i monologhi a due voci [o i dialoghi a una faccia, NdR] del solo Fassbender (Cesira) a rendere questo film interessante, e, pur essendo lo scontro finale ben fatto e ammiccante ai vari capitoli (ben più memorabili) della saga, il colpo di scena conclusivo (se così vogliamo chiamarlo) è di una banalità disarmante se si è minimamente amanti del genere.

Tirando le somme, il secondo capitolo di questa nuova saga manca di coerenza e coesione e arriva molto lontano dal bersaglio, non affermandosi né come film di fantascienza né come horror, in entrambi i casi a causa della contaminazione da elementi action che impediscono alle scene di caricarsi di quella drammaticità di cui un thriller non può fare a meno.
Insomma, riguardate i classici, ne trarrete maggior soddisfazione.

lunedì 8 maggio 2017

Recensione - Il Guardiano degli Innocenti

Andrzej Sapkowski

Il Guardiano degli Innocenti



La saga dello Strigo di Rivia era in lista di lettura da tempo.
Era bastata la sinossi nella seconda di copertina e un'occhiatina rapida al testo per farmi intuire che le avventure di Geralt sarebbero state assolutamente da leggere.
Così, approfittando di un compleanno pieno di libri in regalo (sì sì, lo vedo quanto ve ne frega...) ci ho infilato dentro Il Guardiano degli Innocenti per assaggiare la serie.
E ne sono stato subito conquistato.

La scrittura di Andrzej Sapkowski è asciutta, essenziale, ridotta all'osso. Non lascia nulla sulla pagina che non sia assolutamente necessario, ed è ciò che ogni bravo scrittore consiglia quando gli si chiede come scrivere bene.
La lettura diventa così iper-fluida, e persino un lettore-bradipo come il sottoscritto è stato in grado di finire il libro in quattro giorni.
E questa è soltanto la prima delle note positive a saltare all'occhio.
Un'altra riguarda il dipanarsi dell'intreccio, col quale Sapkowski (ma prima o poi lo scopro come cacchio si pronuncia) riesce perfettamente a tenerci incollati alla narrazione riga dopo riga, facendoci percepire i climax con ansia sottile e crescente, trattenendo le rivelazioni con scorci discreti e timidi ammiccamenti, velate allusioni, fino al crescendo finale di ogni racconto.

Ah, sì, perché Il Guardiano degli Innocenti non è un romanzo, ma una raccolta di racconti intervallati da pause in cui il buon Geralt, l'ammazzamostri, si riposa, medita e... riposa ancora (dopo) nel tempio di una sacerdotessa che è un po' zia e un po' confidente.
Ognuno dei racconti sembra inizialmente scimmiottare le più famose fiabe classiche (Biancaneve, la Bella e la Bestia, la Bella Addormentata), collocando lo Strigo in una specie di ambientazione dark-Shrek o shadow-Grimm, che però presto si allontana dallo scherzo citazionale e si ammanta di una dignità che solo un autore dotato come Sapz  Sazd  questo è in grado di creare, senza che il tutto sappia di scopiazzatura o di già visto.

Il mondo di Geralt è infatti vivo, solido, autonomo e in grado di mantenersi equilibrato anche su terreni impervi e rischiosi grazie a zampe giovani eppure già robustissime.
A tratti, forse, ricorda un po' troppo Martin, ma per fortuna (oh, de gustibus...) la caratterizzazione dell'ambientazione è del tutto originale e decisamente più vicina alla fantasy di Tolkien che a quella iper-realista del buon G.R.R.
La saga dello Strigo si colloca, no, si crea una sua propria Terra di Mezzo (ah ah) che merita tutto il successo che le è stato tributato, e io non vedo l'ora di conoscere il resto della storia.
Bravo Saz Srad Coso, lì  S-a-p-k-o-w-s-k-i,
alla prossima!





martedì 2 maggio 2017

Recensione - Anime e Sangue

di The Gardener87, Amico dell'Ombra

Raven Press, Prima edizione





Anime e sangue è un Gdr discusso e discutibile, con grandi appassionati e feroci detrattori.
Dove ci collocheremo noi? Chissà…

Con circa 15 anni di esperienza – sia come giocatore che come DM, da tavolo e dal vivo in diversi sistemi – mi considero piuttosto navigato, e, dal mio punto di vista, in questo caso i difetti superano i pregi.
E non di poco, a dire il vero. Ma analizziamo le cose un passo alla volta.

Il contenitore
I manuali sono (almeno esteticamente) pregevoli: cartonati, patinati e con alcune belle illustrazioni, ma sin da subito danno l’impressione di essere scritti piuttosto male, con toni colloquiali che avrei apprezzato (forse) alle scuole medie, ma che adesso mi fanno pensare che gli sviluppatori fossero i primi a prendere poco “seriamente” questo prodotto.

Mi spiego: spesso il manuale insiste a rivolgersi al lettore come se fosse un Completo Ritardato (noto png dall'intensa esistenza transdimensionale - NdR), senza nessuna esperienza di Gdr e un QI a cui Forrest Gump avrebbe guardato con affettato snobismo. 
Esempio: “Il Narratore non deve cercare di fregare il giocatore” oppure “consiglio: siate bastardi e fatelo durante il combattimento finale o al momento del lancio di un colpo decisivo.”
Inoltre sono presenti diversi refusi che saltano all'occhio già a una lettura superficiale.

Insomma, dopo la bella cover, il manuale di Anime e Sangue è un po' come una scatola di cioccolatini...



Il contenuto
I giocatori di Anime e Sangue saranno chiamati a interpretare, principalmente, degli spiriti di divinità o grandi eroi del proprio mondo intrappolati in armi per volere di non meglio identificate Entità.
Il livello di potere è dunque piuttosto alto, a maggior ragione perché questi spiriti posso risorgere e cambiare corpo con sforzo pressoché nullo, ma nelle ambientazioni proposte le Entità affideranno missioni decisamente prosaiche, del tipo: liberare la locanda dai ratti o scoprire chi ha ucciso il ministro del commercio del settore galattico B2. Domanda: a un’entità astrale, eterna e potentissima che cosa importa di queste inezie? E soprattutto, visto che il manuale spinge a usare personaggi archetipici come Batman, Gatsu, Jack Sparrow (eroi del loro mondo appunto) e in generale di dubbia moralità, quanto successo sperano di ottenere, queste Entità? Perché questi eroi ritornati dovrebbero accettare le loro imposizioni? Molte delle tracce proposte mancano dunque di coerenza e le situazioni presentate non dovrebbero essere accettate dai personaggi se non perché i giocatori sanno che questo li farà proseguire nella trama, con continui sconfinamenti nel metagioco.

Le regole presentano alcuni punti deboli e diversi passaggi di dubbia interpretazione.
I personaggi hanno 4 caratteristiche (Violenza, Movimento, Magia e Interazione) con punteggi da 1 a 5 e nessuna abilità in senso tradizionale, ma delle competenze caratterizzate da un descrittore (es. Tirare di scherma, Atletica Leggera, Uccidere) che permettono di sostituire il valore di questa competenza al tiro del dado (D20) se inferiore qualora il master ritenga che il tiro tentato ricada entro il campo del descrittore (blinda come se fosse antani? NdR).
Le uniche caratteristiche con un peso sono Violenza e Magia, essendo i bonus dati dalle le altre trascurabili in un test diretto (D20+caratteristica) rispetto al peso del dado.

Anime e Sangue - Schermo del narratore


I tradizionali punti vita sono sostituiti dalla caratteristica Valore (15+VI+IN+MO, la Magia non contribuisce al valore), il superamento della quale determina la “sconfitta”, che può avere diverse conseguenze. I successi in combattimento sono solo di due tipi: un effetto minore, che riduce la somma del Valore (dato da 15+VI+MO+IN) di 1, oppure la totale sconfitta (morte/mutilazione) dell’avversario (o altri impedimenti maggiori nel caso non si voglia eliminarlo).

Le magie sono divise per colore. Ne esistono sei per simboleggiare le diverse nature degli spiriti (Rosso, Verde, Giallo, Blu, Bianco, Nero, più il Caos) e possono avere un effetto minore o un effetto maggiore (di solito la morte) in base al superamento di un valore di soglia.
Queste magie non sono affatto equamente ripartite per colore, con alcuni semi di scarsa o nessuna utilità, e altri invece davvero potenti. Questo squilibrio rende alcuni colori una scelta davvero poco appetibile.

L’armatura in questo gioco (magica o fisica) è costituita da oggetti che sono spendibili un'unica volta per evitare un colpo altrimenti mortale (magico o fisico).

Il denaro non ha quantificatori numerici, solo generici (una miseria/un po’ di soldi/una ricchezza/un tesoro), un’idea a mio dire apprezzabile, visto che spesso nei Gdr i soldi sono più che abbastanza per vivere ma troppo pochi per fare qualcosa che cambi l’andamento del gioco, liberando tutti dalle domande su quanto varrebbe un orologio a cucù nel medioevo e il conteggio delle monete di diversi metalli o gemme e quant'altro.

Le regole proposte nel complesso sono decisamente semplici (meno male! NdR), e questo è un dato molto positivo, a maggior ragione essendo un sistema che vuole proporsi come “generalista” e adattabile ai più disparati tipi di ambientazione.
Alla prima seduta capirete abbastanza bene come funziona, alla seconda potrete giocare tranquillamente e alla terza potrete già considerarvi esperti del sistema.

Un difetto piuttosto grossolano è che le magie e le regole di battaglia sono presentate come se si trattasse di un gioco da tavolo o di carte, in cui “build” e “combo” sono l’obiettivo da perseguire, più dell’interpretazione del personaggio, tant'è che sono fornite sotto forma di carte da gioco. Inoltre, al raggiungimento del livello dieci si riceverà un misterioso incantesimo supremo (con l’effetto di tornare alla tua vecchia vita, oppure proseguire nell'avventura così come si è), cosa che mi ha ricordato incredibilmente il gioco da tavolo Hero Quest, in cui, sopravvissuti alla terza avventura, si riceveva il titolo di avventuriero del regno, con nessuna conseguenza pratica.

Anime e Sangue - Carta Incantesimo

Il quadro generale sembrerebbe in definitiva piuttosto mediocre, cosa in effetti vera, MA… 
Se giocato con le persone giuste Anime e Sangue vi regalerà una quantità di risate che non gustavate da tempo: una commistione di trash, pulp, urban-fantasy e special-super-teenager che, se preso nel giusto modo, non manca di divertire.

Exempli Gratia (eh? Poi dite che qua si fa dell'ignoranza... NdR)
In una delle avventure base, quando i miei giocatori si sono rifiutati di aiutare la melensa tribù che li aveva evocati (alla cieca, sperando che li proteggessero dai cattivi) l’avventura ha fatto un balzo di qualità di questa risma: ben presto i due spiriti (Ahuitzotl e il Quarto Cavaliere dell’Apocalisse) si sono trovati a cavallo di dinosauri a capo di feroci cannibali, prendendo parte agli ultimi tragici spasmi di agonia di un mondo ormai condannato.


Tipo...


In generale: più le cose vanno storte – o diversamente da quanto previsto –, più ci si diverte.
Nonostante tutto, per qualche motivo che ancora non ho compreso, Anime e Sangue mi ha fatto tornare la voglia di scrivere avventure, provare nuovi sistemi e sperimentare idee sui giocatori ignari che prima non avrei considerato affatto.

Anime e Sangue (prima edizione) complessivamente è composto da:
-Anime e Sangue: il Manuale Base.
-Cuori d’acciaio: che espande il gioco base proponendo regole per utilizzare robot da battaglia contro un’invasione aliena, come nei mitici cartoni degli anni ’80, aggiungendo ai colori base delle magie il colore “Acciaio”.




-La Forgia dei Creatori: comprende una serie di tabelle per generare in modo casuale le caratteristiche chiave di una realtà del multiverso di A&S, inoltre propone una serie di tracce per avventure create con questo metodo random.




-Scaglie di Drago: qui è proposta un’ambientazione piuttosto completa in cui i giocatori sono chiamati a interpretare principalmente membri del “Popolo Oscuro”, ovvero tutti i pelleverde e le altre classiche nemesi dei Gdr tradizionali, oltre a implementare un sistema con razze e classi per caratterizzare il proprio personaggio.




-E.D.E.N.: si tratta di una campagna completa per Anime e Sangue in cui i personaggi attraverseranno vari spazi di una stessa realtà scoprendone i segreti e i motivi della loro esistenza. Qui sono presentate nuove magie che possono sostituire o espandere i colori del gioco base.




-Scrigno del Giocatore: si tratta di una scatola contenente carte da gioco raffiguranti tutti gli incantesimi base e acciaio, oltre a una serie di nuove magie ibride. Carte e illustrazioni sono pregevoli e ben fatte, ma proprio la forma di carte le rende – a mio modo di vedere – scomode e odiose, data l’ovvia tendenza delle stesse a mescolarsi e non farsi trovare quando le vorresti in mano!




In questi giorni è stata presentata una nuova versione, con regole riviste, che non ho ancora potuto provare, e che potrebbe aver risolto uno o più punti deboli di questo Gdr (o averne creati altri!).

Tirando le somme
Anime e Sangue è un Gdr composto da regole e idee piuttosto incoerenti, che sembra rivolgersi a un pubblico assolutamente inesperto proponendo livelli di potere difficili da gestire anche per un narratore e giocatori di grandissima esperienza, ma abbassando contemporaneamente il tiro in maniera paurosa, affidando missioni che rifiuterebbe persino una vecchia guardia cittadina con problemi a un ginocchio.
Eppure, ripeto, inspiegabilmente mi ha fatto divertire. E in fondo, non è questo che dovremo cercare in un gioco di ruolo? Ogni sistema in fin dei conti non è che un telaio su cui intessere le proprie storie, un accessorio, perché, a mio parere, gli elementi principali su cui si fonda una bella avventura sono sempre i soliti due: il narratore e i giocatori.