martedì 17 ottobre 2017

I concorsi letterari fanno schifo


Sì, per lo più lo fanno.
Mi capita spesso di partecipare a concorsi letterari (ma perché, direte voi, se credi che facciano schifo? Perché alcune isole felici esistono ancora), e a volte ottengo pure qualche risultato dignitoso.
Questo accade mediamente un paio di volte all'anno, nel resto dei casi, nisba.
E' normale: tanti partecipanti, concorsi non votati al fantasy, tematiche un po' distanti da quello che mi piace ecc.
In fondo è bello anche perché così ci si confronta con realtà esterne al proprio orticello.
Solo che alle volte fuori dall'orticello c'è il regno di Idiocracy, e ti ritrovi l'esimio giurato, sommo poeta, critico e scrittore Giggino o' Scannapuorc che premia componimenti che neanche in terza elementare avrei scritto tanto male. E non lo avrei fatto perché il mio buon maestro mi avrebbe ucciso prima.


Due esempi.
Quest'estate ho deciso di partecipare a un'interessante iniziativa: il racconto in dieci righe.
Bello! Una sfida avvincente condensare tutte le caratteristiche di un racconto in così poco spazio.
Sono carico, mi iscrivo e partecipo. Arriva la serata finale, a cui sei costretto anche se hai partecipato con l'Osteria numero venti perché i furboni hanno delegato l'annuncio dei vincitori all'evento. Chissene, andiamo.
"Millemila opere partecipanti, grande adesione, grazie a tutti per questo successo!" dice la presentatrice.
Poi comincia la lettura delle opere premiate, tipo un terzo del totale (c'erano tante categorie) e mi accorgo che su una trentina di componimenti segnalati solo due o tre potevano essere definiti "racconti".
Tutti gli altri erano filastrocche, pagine di diario, pensieri, cose, e la metà non erano nemmeno in linea col tema del concorso.
Verso metà della serata ha cominciato ad alzarsi il vento.
Ero io, o meglio, una parte di me, che vorticava furiosamente.


Nessuno pretende di essere considerato chissà chi, ma se c'è una cosa che mi fa incazzare come un'aquila è essere giudicato da incompetenti.
Se un giornalista o un romanziere "vero" mi dice: "guarda, fai schifo, lascia stare" io lascio stare.
Ma se mi rendo conto che chi mi passa davanti lo fa a causa dell'inadeguatezza della giuria (e che sia il Pulitzer o la sagra della cozza di Bustarsizio non fa differenza), allora no.
Perché io mi sono impegnato, ho riposto speranze, e l'ho fatto sapendo di aver rispettato le regole.
Un racconto ha una trama: se il tuo cacchio di "coso" in dieci righe non ha né capo né coda, non è un cavolo di racconto. Punto. E se anche fossi Hemingway, in quel concorso non ti premio.

Secondo esempio.
Mi lancio in un concorso di poesia. Mai fatto, ma è a tema fantasy, e mi ispira.
La poesia in questione è l'haiku.
Haiku significa - nella versione italiana (il giapponese ha, ovviamente, regole sue) - una metrica 5-7-5. Non rigida, interpretabile, ma sostanzialmente è così.
Dal punto di vista narrativo poi, l'Haiku - ed è ciò che lo caratterizza - deve avere in quelle poche sillabe il potere di saper evocare un'immagine, come il classico ramo di ciliegio fiorito.
Ispirato dal soggetto fantasy, produco Haiku come una rotativa dopo lo sbarco sulla luna. Mi iscrivo.
Escono i risultati, nisba. Vabbé, sono molto deluso (ci speravo) ma vabbé.
Poi vado a vedere le opere finaliste. Potrei fermarmi alla prima (non la vincitrice, ma la prima presentata), che contiene:
a) metrica sbagliata del primo e del secondo verso - che significa che sia chi l'ha scritto, sia chi l'ha valutato, non sa contare le sillabe in un Haiku;
b) orrore grammaticale nel secondo verso che la mia prof delle medie (assieme al succitato maestro elementare) mi avrebbe fatto cementare in un plinto e negato di avermi mai conosciuto;
c) nessunissima immagine evocata - il titolo avrebbe potuto essere Gargamella vs Goku e non sarebbe cambiato nulla.

Ma poi siccome sono un rompimaroni le controllate tutte: 5 su 7 hanno la metrica sbagliata. Non solo non dovevano essere in finale, ma neanche ammesse, dato che il regolamento parlava molto chiaro su cosa fosse un Haiku.

E poi c'è il concorso che "la serata finale annunceremo il podio", e quando arrivi trovi il libro del vincitore già stampato (sic!).

E quello in cui la giuria è il pubblico ed è composta per l'80% da casalinghe frustrate e - guarda un po' - il vincitore è il racconto pipì nghé nghé pannolini pappa (non scherzo).

Voi non sapete quanto (tantissimo, ndr) questa cosa mi faccia girare i cosiddetti.
Perché il panorama editoriale italiano delle piccole realtà fa schifo? Per questo!
Perché poi fioriscono le raccolte dei racconti che non sono racconti, delle poesie che violentano la poesia, dei romanzetti pipì nghé nghé e dei pornofantasy.
E io mi sono rotto, ma proprio rotto, della mediocrità promossa a discapito di quelle poche cose buone che non possono essere notate in mezzo a un mare di schifezza.
La democrazia non è applicabile a tutto. Se non sei in grado di giudicare un'opera, non lo devi fare. Se leggi non diventi automaticamente un critico, come se scrivi (e non conosci la tua lingua) non diventi uno scrittore.
Eccheppalle.

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