venerdì 28 aprile 2017

Recensione - Ristorante al Termine dell'Universo

Douglas Adams

Ristorante al Termine dell'Universo




Un gran peccato.
No, per carità, non sarò io a parlar male di Douglas Adams, che era un grandissimo, e non sarò io a parlar male della "trilogia in cinque parti" della Guida Galattica per Autostoppisti, pietra miliare della fantascienza moderna di cui Ristorante al Termine dell'Universo costituisce il secondo capitolo.
Però posso parlar male della persona che ha scritto le ultime cinquanta pagine di questo romanzo.
Eh sì perché tra pagina 198 e pagina 245 si deve essere verificato uno scambio di persona, un rapimento alieno, oppure una traslazione trans-dimensionale verso una realtà alternativa, oppure il supercomputer di Matrix ha subito un arresto anomalo durante un aggiornamento.

Nessuno potrà mai convincermi che quegli ultimi tre capitoli siano stati scritti dalla stessa mente che ha immaginato tutto quello che c'è prima; invenzioni geniali, giochi linguistici, citazioni dotte, sceneggiatura e regia degne di un bel film d'azione, ritmi serrati, dialoghi intelligenti, pagine meravigliosamente divertenti (come quella in cui un bovino si presenta al tavolo dei clienti del Ristorante per far scegliere loro il taglio migliore del suo stesso corpo e poi, dopo lunga opera di convincimento, va in cucina a spararsi felice e contento), tutto, nell'ultima parte, svanisce "come lacrime nella pioggia".
E non cito Blade Runner perché fa figo (invece sì, un po' anche perché fa figo).

Dall'incontro dei protagonisti col Governatore dell'Universo, infatti, il libro assume un'inspiegabile e narrativamente ingiustificata piega melanconica. Tutto diventa improvvisamente triste, serio e lento, con lunghe digressioni, pellegrinaggi senza meta dei protagonisti che la maggior degli editor avrebbero suggerito di tagliare, e, infine, una conclusione insipida e agrodolce.
Dispiace davvero,  perché il resto del libro è assolutamente Douglas Adams, si legge alla velocità della luce ed è del tutto a livello della Guida Galattica.

Ora mi rimangono gli ultimi tre della serie. Spero si sia trattato solo di un momento di impasse del caro e compianto DA, e che la serie torni sui toni che le sono propri.
Ma finché non li avrò letti rimarrò inevitabilmente col (Salmone del) Dubbio.



mercoledì 26 aprile 2017

Recensione - L'alba di Darkover

Marion Zimmer Bradley

L'alba di Darkover




L'Alba di Darkover è una raccolta di racconti sulle iniziali fasi di vita della civiltà che si è sviluppata sul pianeta del sole rosso.
Cronologicamente questa antologia si colloca tra il libro "zero" (Naufragio sulla terra di Darkover) e i romanzi della cosiddetta Età del Caos, tra cui La Signora delle Tempeste e La Donna del Falco

Prima precisazione: questi racconti non sono scritti dalla Bradley, ma hanno avuto il placet della scrittrice per la loro attinenza con le vicissitudini trattate nei vari romanzi.
Seconda precisazione: questo volumetto raccoglie solo alcuni dei molti racconti "apocrifi" sull'epopea darkoviana. Esistono altre antologie in cui questi sono raccolti, ma siccome non le ho ancora lette mi sembra giusto tenervene all'oscuro. Ignorante io, ignoranti voi. Oh.

Venendo ai contenuti devo dire che ho trovato l'Alba di Darkover davvero piacevole.
Non tutti i brani mi hanno esaltato, alcuni mancano quasi totalmente di climax, in altri il finale è moscetto, ma tutti sono contraddistinti da una atmosfera intimistica che è quella tipica dei libri della Bradley.
In particolare segnalo il racconto Il Dono degli Alton che in appena due paginette riesce a colpire, sorprendere e svelare retroscena rimasti inspiegati nella serie regolare, motivo per cui il racconto breve, ancillare, o spin off, come dite oggi vòiggiòvani, ha per me un fascino tutto particolare.

E' vero che nella serie (almeno nei volumi che ho letto finora) si sente forse la carenza di un po' di epos, e il carattere personalistico delle storie assume spesso una sfumatura leggermente rosa che ricorda un po' gli Harmony, per cui mi piace alternare la lettura della Bradley con altre cose (ben più grette e banali magari, ma che volete, sono maschio, ho dei bisogni primari da soddisfare), però ogni volta che ci ritorno, è come entrare in un abbraccio confortevole e caldo. Darkover è una coccola che ogni buon lettore di fantasy deve potersi concedere di tanto in tanto.

In questo senso L'Alba di Darkover si colloca alla perfezione nella grande saga. Colma lacune, spiega retroscena sulla società, sulla lingua, sui poteri psichici delle famiglie, insomma, culla il lettore di racconto in racconto dall'inizio alla fine, senza che si notino nemmeno le differenze di stile tra i diversi autori.
E poi mi ha finalmente saturato di chiarimenti sulle Pietre Matrici, i mitici artefatti che amplificano il potere mentale (laran) di chi le usa, e di cui i primi romanzi della serie parlavano a mio avviso troppo poco.

Chi non ce l'ha, insomma, se lo procuri.





martedì 18 aprile 2017

Recensione - Il Segreto del drago

Margareth Weis & Tracy Hickman

Il Segreto del Drago

Ciclo delle Dragonships libro 2




Seconda parte della trilogia delle Dragonships, le navi-drago simil-vichinghe ammazza-orchi firmata dalla coppia Weis-Hickman: fatto!
Con un po' di fatica, come per il primo capitolo, Le spoglie del Drago.
Non so, probabilmente è colpa mia, questione di gusti.

Le vicende di Skylan Ivorson e compagni infatti proseguono a buon ritmo, con colpi di scena e svolte inattese. I personaggi che animano la storia sono molto ben costruiti, vivi, imperfetti e credibili. Margareth Weis e Tracy Hickman sono bravi scrittori, e mi sento di poter dire che consiglierei quest'opera tripartita (perché, come già detto, non si tratta di tre volumi distinti ma di una unica, divisa in tre) a ogni vero appassionato di fantasy.

Eppure... Lo vedete il subdolo "MA" che aleggia sopra le vostre teste?
E' lì, proprio lì, appena un po' più in là. E' apparso a tre quarti del primo romanzo e nonostante l'impianto solido e tutto il resto è rimasto al suo posto per tutto questo secondo libro.
Insomma, ammè lo spostamento dell'azione dal regno dei Vindrasi, tra foreste e fiordi, druidi e orde di pelleverde, sciamani e draghi alla "Roma bis" denominata Sinaria, ma in tutto e per tutto "copincollata" dalla nostra civiltà caput mundi, non è che mi abbia fatto impazzire.

Per carità, si potrebbe dire lo stesso della società di Skylan, ma, come dicevo prima, probabilmente è questione di gusti personali. Per me fantasy e impero romano sono come il limone e il caffè: se li mischi fanno vomitare.
E mi scusino gli esimi Autori (che mi piacciono e dei quali continuerò a leggere tanto), però dalle sinossi uno che si aspetta vichinghi contro orchi poi vuole vichinghi contro orchi! No romani!
Vabbè, non voglio spoilerare, ma diciamo che per il terzo e ultimo atto della vicenda c'è speranza. Andiamo avanti.