mercoledì 27 settembre 2017

Recensione - L'Ira del Drago

Margareth Weis e Tracy Hickman

Ciclo delle Dragonships libro 3



Finire un libro è come prendere un bambino, portarlo in cortile e sparargli.
Almeno così diceva Truman Capote.
Beh, devo ammettere che un po' è vero; anche quando un romanzo risulta un tantino strascicato, quando non riesci a leggerne più di alcune pagine per volta perché sei stravolto dal sonno (e quindi significa che la narrazione è più debole della tua fisiologia), una volta letta l'ultima riga rimani con un senso di sospensione, di vuoto.
Improvvisamente ti è venuto a mancare qualcosa di importante a cui, nonostante tutto, non avresti rinunciato spontaneamente.

Capita persino quando sai (dannato Internet!) che il romanzo che stai leggendo sarà interrotto da un finale aperto - o meglio, da un non finale - persino quando al protagonista capita l'imprevedibile che tanto non può essere perché ci sono (o ci saranno) altri tre libri dopo quello.
Ecco, è successo anche dopo aver chiuso l'Ira del Drago, terzo capitolo della saga delle Dragonships, il ciclo d'ispirazione storica vichingo-roman-odisseggiante di Margaret Weis e Dori Ghezzi Tracy Hickman.



Ero tanto contento quando ho trovato in super sconto l'intera trilogia quanto mi sono intristito scoprendo che la saga - in realtà ben più lunga - è sospesa su richiesta dell'editore per permettere ai due Autori di terminare altri progetti prima di dedicarsi - e portare a conclusione - le avventure del Capo dei Capi Vindrasi Skylan Ivorson e compagni (e draghi). Ciò nonostante il bambino di Truman Capote ha fatto una brutta fine anche stavolta.

Sì, perché l'Ira del Drago è un romanzo coinvolgente pur non potendo brillare che della luce riflessa dell'intera saga, a mio parere ingiustamente poco famosa rispetto alle tante, troppe zozzerie che infestano gli scaffali delle librerie.
E' un libro di passaggio, che però grazie al mestiere della Weis e di Hickman riesce a mantenere alto il tiro e ha far maledire le scelte editoriali che obbligano i lettori a pregare perché il ciclo venga effettivamente concluso.
La narrazione riprende dal momento esatto in cui l'avevamo lasciata con Il Segreto del Drago, e nella prima parte ci mostra la fuga di Skylan e compari a bordo del mitico drakkar Venjakar per sfuggire al traditore Raegar, ora alleato dei sinariani e del nuovo dio Aelon.
Dopodiché la storia ci porta in fondo al mare e lì ci trattiene in compagnia del popolo degli Aquin quasi fino al movimentato finale/non finale.


Personalmente la svolta submariner dopo un po' mi è risultata noiosetta, di certo non appassionante come la prospettiva di uno scontro vichinghi VS orchi, e ho trovato alcuni passaggi un po' forzati, quasi ci fosse la necessità di allungare il brodo concatenando avventure su avventure secondo un stile che riesco ad apprezzare più nelle serie televisive che in quelle letterarie.
Però stiamo parlando della signora Weis e del signor Hickman, e lo si percepisce (anzi, lo si legge) in ogni singolo paragrafo. A questi livelli ti puoi permettere persino di essere noioso senza essere noioso.
In più le ultime trenta pagine riportano pathos e azione ai ritmi a cui ci avevano abituato i primi due capitoli, per cui complessivamente l'Ira del Drago si merita un bel voto, con buona pace del fu bambino di Capote.



Insomma, l'ambientazione può esaltare o meno, peccare un pochino di originalità (ma poi, perché una cosa deve essere per forza originale per essere bella? Il Signore degli Anelli non era certo più originale dei Nibelunghi!) ma quando è scritta come un manuale di sceneggiatura, con personaggi strutturati alla perfezione, in continua evoluzione personale, e un universo coerente e complesso, allora l'intero impianto non può che suscitare approvazione.

L'intera trilogia (perché porca miseria l'ho comprata pensando che fosse una trilogia e la recensisco come una trilogia) è da straconsigliare a chiunque legga fantasy.
Il ciclo delle Dragonships è ciccioso, e merita un posto bene in vista sullo scaffale di ogni nerd che si rispetti, anche grazie al bel progetto grafico dell'edizione Armenia.
Speriamo che il secondo terzetto giunga in fretta, e nel frattempo, che Torval vi accolga nella Casa degli Eroi e vi devasti di idromele per ingannare l'attesa.


martedì 5 settembre 2017

Recensione - La Saga di Gilead

di TheGardener87




LA SAGA DI GILEAD
(Gilead's Blood) di Dan Abnett e Nick Vincent.
Hobby & Work Publishing (2002)

Ero poco più che un ragazzino (bei tempi andati) quando per natale trovai sotto l'albero La Saga di Gilead, ambientato nel mondo di Warhammer, e, per il lettore che ero allora fu un'intensa esperienza.

Il libro narra delle vicende dell'elfo alto Gilead Lothain e del suo fedele Fithvael, gli ultimi superstiti della nobile casata di Tor Anrok.
Il romanzo si apre nel dramma: Gilead subisce una grave perdita che lo segna profondamente, avviandolo su quel solco di sventura e malinconia che lo guiderà tutta la vita.
Alieni al nuovo mondo creato dalle razze giovani i due elfi vagano in città abitate da creature rozze, dai costumi ai loro occhi aberranti, e si spingono fino a terre desolate dominate dalla Morte.
In questo viaggio i nostri eroi si prefiggono di volta in volta un nuovo scopo per dare senso alla loro esistenza altrimenti priva di significato.

L'ombroso Gilead è perennemente in bilico su una spirale autodistruttiva, ammantato dal luttuoso ricordo della perduta grandezza degli elfi; solo il suo compagno, il vecchio Fithvael, riesce a tenere viva la fiamma del suo valore: l'umanità di Gilead infatti risiede tutta nel cuore di Fithvael, senza il quale non sarebbe altro che un relitto pieno di amarezza che attende la fine in una torre diroccata.


Questo libro, di per sé non eccezionale, soprattutto se confrontato con altri fantasy più moderni, ha un posto importante nella mia formazione letteraria: per la prima volta vi ho trovato un eroe crepuscolare, fallibile e tragico, con più difetti che pregi. Arrogante, irascibile ed egoista, Gilead richiama alla mente Elric di Melniboné nel suo soggiacere ai propri difetti; il nobile elfo ha con il suo compagno di viaggio un rapporto simile a quello tra Sherlock Holmes e il Dottor Watson, dove il primo ricco di talenti ma mancante di una vera bussola morale è tenuto a galla solo dal coprotagonista, meno talentuoso ma ricco di valori morali e capace di impedirgli di sprofondare nel vizio e nell'autolesionismo.

Nel corso della narrazione i due elfi si cimenteranno in diverse imprese, collegate da un sottilissimo filo di speranza: trovare tracce dei loro simili, di un nuovo posto che possano chiamare casa, combattendo di volta in volta contro avversari sempre più feroci nel tentativo di sfuggire al vuoto che sentono crescere dentro.
Anche le forze del Caos, elemento centrale del mondo di Warhammer, qui giocano la propria parte, gettando un'ombra spaventosa e allucinante sulle avventure più significative dei due eroi.


Non entro qui nel merito delle singole storie che compongono il racconto, di cui solo alcune davvero sono in realtà davvero degne di nota, ma ancora una volta sottolineo l'aspetto principale: l'atmosfera oscura di questo libro, che lo rende particolarmente coinvolgente, e poi l'eroe, che pur nella sua assenza di umanità mette in scena in modo credibile numerosi difetti che permettono al lettore di partecipare alla profondità del suo lutto, simpatizzando per quello che altrimenti sarebbe (solo) un grandissimo bastardo viziato.

Le avventure di Gilead proseguono in Gilead's Curse, che non è stato tradotto in italiano.
Se cercate un libro fantasy con una trama complessa e imprevedibile questo forse non è il titolo per voi, ma se apprezzate un'atmosfera oscura e dalle tinte fosche qui ne troverete in quantità.

Recensione - I Cento Regni di Darkover

Marion Zimmer Bradley



Continuando la lettura di questo corposo ciclo fantasy - in rigoroso ordine cronologico rispetto alle vicende vissute sul celebre pianeta del sole rosso - sono approdato a I Cento Regni di Darkover, volumetto agile che raccoglie numerosi racconti selezionati, come usanza, da Marion Zimmer Bradley.

I Cento Regni del titolo connotano tanto le realtà feudali che hanno contraddistinto un antico periodo della civiltà fondata dagli umani sbarcati su Darkover, quanto il periodo stesso, detto, per l'appunto, dei Cento Regni.


In questo panorama così frammentato i Signori delle varie famiglie (i potenti Comyn e le genie minori) si danno battaglia a colpi di spada, intrighi e laran, i poteri mentali sviluppati da alcuni umani - e poi "coltivati" proprio grazie alla selezione genetica e a generazioni di matrimoni nobiliari - a seguito dell'ancestrale naufragio in questa regione remota dello spazio.


A differenza di altre antologie della serie (la produzione sorta attorno ai romanzi regolari della saga è pressoché sconfinata) lette finora, nei Cento Regni troviamo descritti anche esseri non umani, creature originarie di Darkover, che dopo la loro prima apparizione in Naufragio sulla Terra di Darkover (libro "zero" del ciclo) erano stati un po' messi da parte a favore degli intrecci dinastici e matrimoniali delle varie famiglie.


Questo è anche uno degli aspetti a mio parere negativi (forse l'unico, in realtà) della raccolta: nella prima metà del libro non si parla d'altro. Se ne parla in maniera gradevole, i racconti sono estremamente ben scritti e scorrevoli (soprattutto il primo, Aillard, di Diane Partridge), come del resto ci si aspetta dalla Bradley, una delle regine indiscusse del fantasy (qui in veste quasi esclusiva di selezionatrice), ma viene sempre riproposto pedissequamente lo stesso schema: una ragazza data in sposa contro la sua volontà a un ciccione unto e sudato (ma non tutte allo stesso ciccione, eh...).

Per fortuna la seconda metà riprende tono e smalto, e noi beceri maschietti possiamo godere di una decisa svolta verso lo Sword & Sorcery, che movimenta tutta la baracca.
Il racconto La Spada del Caos - che non a caso è della Bradley - è davvero bellissimo, tragico e coinvolgente, e così numerosi altri dopo di esso.


Diversi racconti narrano le vicende di uno dei personaggi simbolo della saga, Varzil il Buono, artefice del Patto che ha vietato l'uso delle terribili armi magiche sviluppate grazie all'uso del laran nelle Torri dei maghi (anche se su Darkover si chiamano Laranzu...), quali la Pece magica e la Polvere mangiaossa, svelandone i misteri della nascita e della gloriosa ascesa al Supramondo.

In definitiva quello di Darkover si conferma un ciclo imperdibile per gli appassionati del fantasy, tanto per gli scritti originali della Bradley, quanto per quelli "apocrifi" (che poi apocrifi non sono).
Credo che l'altissimo grado di strutturazione del mondo, lo stile un po' datato (non c'è la crudezza e la volgarità che è invece molto diffusa nei romanzi fantasy attuali, più Low Fantasy, tanto per usare le categorizzazioni che odio), che giunge fino alla creazione di neologismi derivati dalle antiche lingue umane evolutesi nel nuovo ambiente, come bredu per fratello, o dom per Signore, conferisca ai romanzi di questo enorme ciclo uno spessore che è difficile ritrovare in altre saghe.

E ora vado, me ne mancano solo altri centroquarantremila per finire il ciclo.