domenica 20 maggio 2018

Recensione - Il Mercante di Tylmon


Oggi voglio spendere due parole per questo racconto di Federica Prina, scoperto sull'internet mentre mi dedicavo alla ricerca di ebook fantasy gratuiti.
Di solito è una ricerca che conduce a poco, vuoi per i criteri di catalogazione degli store che taggano come fantasy qualsiasi zozzeria, vuoi per la pochezza di chi si lancia sul mercato globale della narrativa gettando - ce ne fosse bisogno - ulteriore cattiva luce sul MIO genere preferito. Ve possino...

Così, dopo lungo slidare del dito sul mio cellulare mi è capitata sott'occhio questa delicata copertina, poco fantasy forse, ma in qualche modo, proprio per questo, meno occhieggiante, più onesta dei tanti obbrobri in cui solitamente ci si imbatte.

Il Mercante di Tylmon è un lungo racconto senza suddivisioni interne, un po' come la prima stesura del romanzo di Jack Kerouac Sulla Strada, che pare sia stato scritto tutto d'un fiato e poi riaggiustato per le stampe. La vicenda è quella di Cheslav, un mercante, o meglio, un ex mercante, che ora vaga di villaggio in villaggio guadagnandosi da vivere come cacciatore.


Per quale motivo Cheslav abbia abbandonato la sua professione per una "carriera" completamente opposta e pericolosa, e quale sia la vera preda che insegue lo scopriremo un poco alla volta, tra foreste, taverne e riminiscenze del nostro eroe.

Il Mercante di Tylmon è risultato una lettura gradevole. Non è per niente poco nel mare magnum dell'inutilità digitale contro cui spesso mi scaglio. I punti a favore sono diversi: innanzitutto, pur trattandosi di autopubblicazione, si nota una certa attenzione per la forma. Il testo è praticamente esente da refusi e l'italiano è corretto anche se si intravede, ad esempio nella presenza delle D eufoniche e nel linguaggio troppo piano, la mancanza di pratica e di un editing professionale.
Il ritmo è piacevole: forse qua e là ci sarebbe bisogno di alleggerire le descrizioni, il colpo di scena è intuibile piuttosto precocemente, ma si tratta di sfumature per un testo che viene offerto gratuitamente e riesce bene laddove tantissimi altri falliscono miseramente tra roboanti proclami e caterve di "recensioni" a cinque stellette.


Federica Prina si presenta in punta di piedi sin dalla scelta della cover, con questo racconto di cui, per motivi personali di visione del fantasy, ho apprezzato l'approccio intimistico, il risicato numero di personaggi e la quasi costante ambientazione forestale. Il Mercante di Tylmon è un vero fantasy, senza fronzoli e pretese di originalità (parola terribile da associare a questo genere, io credo), e un piccolo e onesto fantasy, di questi tempi, è davvero una piacevole sorpresa.

Voglio concludere quindi con un incoraggiamento all'autrice a perseverare e migliorarsi con quelli che lei stessa definisce "esperimenti" perché, a mio modestissimo parere, la via imboccata è quella giusta.
E poi per citarla: concordo con lei sul fatto che un cassetto sia un luogo davvero triste in cui rinchiudere i sogni, soprattutto quando contiene qualcosa di bello.


Recensione - La signora dei Draghi


La Signora dei Draghi è il primo libro della serie Dragonvarld, firmata dalla vera signora dei draghi di questo mondo, Margareth Weis.
Ho acquistato il libro in "bundle" assieme alla serie delle Dragonship, ed ero curioso di scoprire come l'autrice riuscisse a declinare il suo amore per le mitiche creature in questa nuova trilogia.

La Signora dei Draghi è una sacerdotessa, capo di un ordine femminile di cultiste dedite alla protezione del proprio regno dagli attacchi dei grandi rettili. Melisande è la sua designata success... succeditr.. quella che prenderà il suo posto, l'attuale Somma Sacerdotessa e una delle protagoniste della vicenda.
Dietro agli attacchi dei draghi si scopre presto un complesso intreccio di interessi e tradimenti, perpetrati non solo dagli umani.


Il ruolo di attore principale in questa vicenda tocca a Draconas, un drago (ma va?) a cui è stato concesso il potere di assumere forma umana per fungere da collegamento - e spia - tra le due stirpi. E' a Draconas che spetta il compito di indagare sugli attacchi e scoprire cosa si cela dietro ad essi, ed è un compito che gli viene assegnato proprio dall'élite dei draghi: gli umani non devono sapere nulla della sua missione.

Draconas si rivolge così al sovrano del regno vicino, Edoardo, che lo accompagnerà - anche fisicamente - nella sua investigazione verso il tempio delle sacerdotesse dei draghi e i suoi oscuri segreti.


La Signora dei Draghi mi ha lasciato abbastanza perplesso, per diversi motivi.
Il primo è che non sono riuscito a definire il target di riferimento del romanzo. Lo stile è piuttosto didascalico, privo di volgarità e con pochissimi termini scurrili, il che farebbe pensare a un pubblico di giovanissimi.
Tuttavia, fin dalle prime pagine scopriamo l'amore omosessuale tra Melisande e la guerriera a capo delle guardie, Bellona. Niente di male, ma la Weis non lesina le descrizioni degli incontri intimi tra le due, per cui il romanzo, per così dire, fluttua tra passaggi quasi banali e altri iperrealistici, in stile Martin.

Il secondo punto riguarda alcune soluzioni narrative, a mio parere piuttosto deboli, alle quali però concedo il beneficio del dubbio, trattandosi del primo romanzo di una serie in cui le apparenti mancanze e leggerezze potrebbero trovare spiegazione, e - soprattutto - perché è il minimo che una brava, no, una grande maestra del fantasy merita.
Stando a questo primo libro però personaggi come i monaci pazzi, a tutti gli effetti ritratti come monaci cristiani, con tanto di saio e tonsura, in un mondo in cui di cristiano non c'è nulla, appaiono quantomeno una forzatura, la mancanza di approfondimento verso un culto che dovrebbe avere caratteristiche e radici desunte dalla storia di Dragonvarld, e non dalla nostra.
Ma, come dicevo, vedremo...


Ultima nota dolente, la traduzione. Credo di averlo già detto altrove, ma un libro fantasy ambientato nel mondo X, nell'universo Y, nel regno K, e presentato tramite traduzione a un pubblico italiano NON deve avere personaggi chiamati Pino, Franco e nemmeno, come in questo caso, Edoardo. Se no mi leggo La Briscola in Cinque di Malvaldi che è un bellissimo e divertentissimo romanzo ambientato in un bar toscano e non un fantasy. Soprattutto (ed è qui che, come diceva un grande saggio, i fatti mi cosano) se Edoardo nella versione originale e, guarda caso, anche nel secondo episodio della saga in versione italiana, si chiama Edward...

Concludendo, La Signora dei Draghi non è il romanzo fantasy migliore che abbia letto, nemmeno tra quelli della Weis (lo stesso ciclo delle Dragonships è infinitamente più solido e godibile), l'indeterminatezza dello stile e alcune forzature stilistiche lo penalizzano, così come alcune scelte della traduzione.

Però non posso nemmeno dire si sia trattato di una brutta esperienza. In una cosa, infatti, si percepisce la grande abilità scrittoria di Margareth Weis, la capacità di trasmettere un senso di sospensione nel momento in cui si richiude la quarta di copertina, la voglia di scoprire, a prescindere da quanto la lettura ci abbia avvinto, come prosegue la vicenda, cosa che nonostante tutto non mancherò di fare.
E chissà che il giudizio complessivo non cambi radicalmente alla fine del terzo capitolo... 


Recensione - Altered Carbon

Originale Netflix


by The Gardener87

Dopo lungo tempo (per causa mia), ecco una bella e corposa recensione dell'amico Giardiniere sulla serie targata Netflix Altered Carbon.

Altered Carbon...
Altered Carbon...
Difficile parlare di questa serie cyberpunk targata Netflix tratta dal romanzo Bay City di Richard K. Morgan del 2002 (che a essere sincero non ho letto, ma farò in modo da rimediare prima possibile).
Si tratta di una produzione di prima qualità, con attori capaci ed effetti speciali che non hanno nulla da invidiare al grande schermo.

Avendo letto qualche recensione non proprio lusinghiera, una delle quali descriveva la serie come "lentissima e pretenziosa", ero riluttante a iniziarla, ma la visione dei primi episodi mi ha conquistato.
L'etichetta di lenta e pretenziosa può forse derivare, a mio modesto parere, dalla poca familiarità col genere cyberpunk e le sue tematiche, cosa che potrebbe condurre, a priori, verso aspettative più orientate all'action-thriller, con molto buda-buda-buda e situazioni da pelle d'oca, mentre quello che ci si trova di fronte è piuttosto diverso.

La forza del genere cyberpunk non è data dai fighissimi arti cibernetici o dalle pistole di grosso calibro (e dalle lenti a specchio, come dimenticare le lenti a specchio...) e nemmeno dalle modelle seminude che fanno capolino qua e là, ma piuttosto dal senso di alienazione e dalla costante sospensione morale a cui sono costretti i protagonisti.
In questo Altered Carbon arriva perfettamente al cuore della questione.


La Trama.
Il protagonista Takeshi Kovac si risveglia a oltre duecento anni dall'inizio del suo periodo di stasi, catapultato in un nuovo corpo e in un mondo che non gli è familiare se non nella misura dei propri tragici timori, divenuti realtà.

Kovac è un pericoloso sicario, reso spaventosamente cinico dalla perdita di tutti gli affetti, dal completo fallimento degli ideali per cui ha combattuto e, cosa non trascurabile, dalla propria morte.
Eh sì, proprio così: in Altered Carbon la morte del corpo non coincide con la morte definitiva della coscienza e delle memorie. Queste sono conservate in apposite pile corticali che possono essere trasferite su diverse custodie, ovvero corpi umani, cloni del corpo originale, corpi di altri, corpi a noleggio, e tutto quello che il denaro può comprare.


Takeshi dunque viene liberato (riattivato? rianimato? resuscitato? cosa siamo se di noi non resta altro che un pugno di circuiti e una manciata di elettroni?) in una nuova custodia, e badate, non un ciccione sudato e ansimante, eh? proprio un tizio di due metri largo come un armadio con muscoli tirati a balestra per volontà di un ricchissimo Mat.
"Mat" non è un nome, ma la contrazione di Matusalemme, la ristrettissima cerchia di uomini abbastanza ricchi da poter comprare tutte le custodie che vogliono ed eseguire backup pluriquotidiani della propria pila, divenendo sostanzialmente immortali e capaci di accumulare ricchezza, influenza e perversioni, per secoli.


Perché il Mat Laurens Bancroft si prende il disturbo di fare scarcerare un pericoloso criminale e pagare per una custodia di prima scelta? Ovvio, per indagare sul proprio omicidio, cioè la distruzione della propria pila corticale e il tentativo fallito di compromettere il suo archivio di backup.

Inizia così la difficile indagine del protagonista, costretto a districarsi tra mille identità di facciata, insabbiamenti, abissi di perversione e disperazione. Nello svolgimento del suo incarico Takeshi sarà costretto a servirsi a fondo del proprio addestramento unico, della propria disciplina mentale unita a una massiccia dose di spietatezza e a una totale assenza di scrupoli.

Ora, se siete stati attenti, avrete notato che non ho mai definito Takeshi come l' "eroe": si tratta infatti di un uomo arrogante e spesso crudele, un manipolatore nato che si serve delle persone facendo leva sui loro desideri e sulle loro paure  per raggiungere i propri scopi (molto bastone e poca carota, a dire il vero).
Non è però del tutto privo di umanità: la sua vera debolezza si rivelerà l'incapacità di abbandonare i propri "strumenti" una volta diventati inutili, il legame con le persone di cui si è circondato per portare avanti l'indagine da cui dipende la sua libertà.


Il Contesto.
Kovac e gli altri personaggi sono il prodotto del tempo e della società in cui vivono, una realtà esplorata con lucidità sulla base dei propri presupposti, un futuro distopico ma tristemente credibile, dove vizi, manie e contrasti sociali vengono amplificati all'estremo.
Un aspetto, che personalmente ho molto gradito, che può non essere apprezzato da tutti i palati: parecchio tempo viene infatti speso nell'esplorazione di questo futuro oscuro, nell'approfondimento psicologico dei personaggi e, attraverso questo, dell'intera società di Bay City.
Può sembrare un po' pesante in effetti, ma il tono non è mai espressamente moralista, se non nella misura della nostra capacità di indignarci di fronte ad argomenti con contenuti etici.

Tirando le somme.
Insomma, ambientazione azzeccata, bei personaggi, un mistero avvincente: Altered Carbon sembra privo di difetti.
Nella prima metà.
A un certo punto della faccenda infatti la trama va un po' alla deriva, tirando prima in ballo un caso troppo incredibile per essere vero e troppo transitorio per avere senso, poi delle motivazioni che spostano molto la centralità della vicenda sul protagonista, suscitando - quantomeno in me - una sensazione simile a quella provata guardando Spectre (l'ultimo James Bond), in cui tutto e tutti girano intorno a Bond (amici di Bond, nemici di Bond, colleghi di Bond, parenti dimenticati di Bond, il gatto di Bond...).

Nonostante questa sbandata la soluzione dell'investigazione e il finale sono belli robusti, con la prospettiva di una personalissima missione impossibile per il protagonista (qui forse finalmente divenuto, e a buon diritto, eroe) che potrebbe impegnarlo per il resto dei propri giorni (bello cavalleresco).


La serie è conclusa ma il finale è possibilista e allusivo come piace a me; tuttavia, se ci risparmiassero una deludente seconda stagione di sola retrospettiva su Kovac e il suo passato rivoluzionario sarei molto più contento.
A parte qualche scelta narrativa che non mi ha convinto fino in fondo mi sento di consigliare questa serie a tutti gli amanti del genere cyberpunk, che potrebbero essere rimasti, come me, un po' delusi da Bladerunner 2049
Qui all'atmosfera non manca nulla, tra neon dall'aspetto vintage, ologrammi e degrado urbano Altered Carbon non mancherà di farvi sentire di nuovo sul filo del rasoio.